Settimanale di varia umanità carceraria C.C. di Monza Numero 43/25 26 ottobre 2025 XXX domenica Tempo Ordinari


Uomini di fronte a Dio 

Gesù stesso chiarisce subito a chi intende rivolgersi con la parabola che sta per raccontare (Lc 18, 9-14). “Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”. Con una aggravante: la presunzione e il disprezzo si manifestano durante la preghiera, momento di comunione con Dio e i fratelli. Il fariseo inizia la preghiera dicendo: O Dio, ti ringrazio. E’ vero, ringrazia; ma non Dio bensì se stesso, per tutto ciò che non è (non commette né peccati né reati, e questo conta), e per tutto ciò che fa (ligio alle prescrizioni religiose, alla forma, e questo conta meno). Non Dio, ma se stesso al centro della preghiera. Ponendo se stesso allontana gli altri (che pure sono fratelli). Se lui è al centro gli altri in qualche modo sono lontani, separati da un muro di superbia e superiorità. Questo è il terreno fertile dove contrasti e rancori attecchiscono facilmente. Il pubblicano, fermatosi a distanza, senza alzare gli occhi al cielo e battendosi il petto diceva: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Il suo stesso atteggiamento esteriore, non alza gli occhi, si batte il petto e sta a distanza, dice cosa ha nel cuore, esprime la consapevolezza di non avere titoli di credito di fronte a Dio, ma di essere solo un peccatore bisognoso di misericordia. La sua preghiera è davvero rivolta a Dio. C’è anche lui nella preghiera, ma come peccatore. Chiede di essere ricordato da Dio e che trovi un posto nel suo cuore, solo perché Dio è buono, non per i suoi meriti. Il brano di vangelo che ci ha accompagnato giovedì sera nella fiaccolata verso il carcere con i fedeli del decanato di Monza era il dialogo del buon ladrone con Gesù, ormai crocifissi in attesa della morte. Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. Anche il buon ladrone chiese di essere ricordato, e lo fece solo perché capì che quell’uomo era buono, che lo poteva salvare, non tanto dalla morte ormai inevitabile, ma dal nulla e dalla condanna che la morte sembra portare con sé. Si è fidato di Gesù, ha messo la vita nelle sue mani, non ha contato sui suoi meriti perché probabilmente ne aveva pochi, soffocati da un gran numero di errori, delitti, tradimenti. Il fariseo e il pubblicano hanno pregato in modo diverso perché diverso è il loro modo di essere e di stare davanti a Dio. Chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato. dtiziano.

Fiaccolata della speranza 


Una fiaccolata dal sagrato della chiesa di San Rocco al carcere di Monza. Pensata in occasione della Giornata missionaria mondiale e del Giubileo che si celebra quest’anno, si è svolta giovedì scorso. Animata con canti e testi dai giovani del decanato monzese ha visto una numerosa partecipazione di persone impegnate nel campo missionario o carcerario. E’ stato un camminare inserendoci nell’amore che ha contraddistinto Gesù verso i poveri, gli ultimi, i carcerati. Il nostro cammino e le preghiere dicevano che ci siamo, che eravamo dove tanti fratelli soffrono, e che ci stanno a cuore, che vogliamo loro bene. Il camminare di questa sera deve avere un seguito, occorre scomodarci ancora per tener viva la luce e la speranza che tiene in vita chi, per un motivo o per un altro, sta ai margini. Questa sera abbiamo donato un po’ speranza a chi è rinchiuso in carcere. Una speranza che ha bisogno di continui gesti concreti di attenzione. Pubblichiamo l’intervento di un ex detenuto, Emanuele, che da due mesi ha terminato la carcerazione. Dietro le sbarre, la speranza è più di un sentimento: è un’ancora di salvezza. Nel buio della reclusione, quando la libertà sembra perduta, essa diventa la forza che impedisce di affondare. La speranza è esser capaci di vedere la luce nonostante le tenebre, disse Desmond Tutu. La speranza permette al detenuto di vedersi non solo come “colpevole”, ma come persona capace di rinascita. È la scelta di credere che «ogni peccatore può avere un futuro». Non cancella il dolore né le colpe, ma trasforma il tempo della pena in tempo di crescita. In ogni cella può nascere una luce. La speranza diventa allora chiave e àncora insieme: chiave che apre alla possibilità del cambiamento, àncora che tiene saldo il cuore nell’attesa di una nuova libertà, esterna o interiore. 

Accanto ai poveri è vivere il vangelo 

Due passaggi del discorso di papa Leone ai partecipanti all’incontro mondiale dei Movimenti popolari. Quando si formano cooperative e gruppi di lavoro per sfamare gli affamati, dare riparo ai senzatetto, soccorrere i naufraghi, prendersi cura dei bambini, creare posti di lavoro, accedere alla terra e costruire case, dobbiamo ricordarci che non si sta facendo ideologia, ma stiamo davvero vivendo il Vangelo. Gli Stati hanno il diritto e il dovere di proteggere i propri confini, ma ciò dovrebbe essere bilanciato dall’obbligo morale di fornire rifugio. Con l’abuso dei migranti vulnerabili, non assistiamo al legittimo esercizio della sovranità nazionale, ma piuttosto a gravi crimini commessi o tollerati dallo Stato. Si stanno adottando misure sempre più disumane – persino politicamente celebrate – per trattare questi “indesiderabili” come se fossero spazzatura e non esseri umani.

A Ritroso: Il Valore Intramontabile dell'Amicizia Oltre le Sbarre 

Una certa emozione e un senso misto di irrazionale timore e inspiegabile curiosità agitavano i miei pensieri mentre mi avvicinavo al cancello del carcere di Monza, lunedì scorso, per la prima volta dopo quel 4 dicembre in cui ero stato scarcerato per finire la pena in affidamento. Adesso ci rientravo da cittadino libero per far visita al mio ex compagno di cella al 21. Questo "ritorno" non è stato un semplice atto di cortesia, ma un viaggio a ritroso nel cuore di un'esperienza che, pur nella sua durezza, ha forgiato legami indissolubili. Il carcere è un luogo di privazione e isolamento, ma è proprio in questo ambiente che la fratellanza e l'amicizia si rivelano come ancore di salvezza. La convivenza forzata tra persone provenienti da contesti diversissimi richiede una straordinaria capacità di adattamento e l'abilità di "far buon viso" a ostacoli e difficoltà quotidiane che, a chi è libero, risultano inimmaginabili. Ogni giorno in cella è una lezione di resilienza. Si impara a condividere il poco, a sopportare in silenzio e a trovare nell'altro una spalla, un confidente, a volte l'unica "famiglia" rimasta. Questi legami non sono solo una convenzione sociale, ma una vera e propria strategia di sopravvivenza psicologica. Il rispetto reciproco, la solidarietà nel momento del bisogno, la capacità di sdrammatizzare una situazione opprimente: tutto questo contribuisce a rendere la reclusione, se non sopportabile, almeno meno disumanizzante. Eppure, dietro questa facciata di adattamento, si cela una profonda nudità emotiva. Chi è in carcere è spesso spogliato di tutto: della libertà, dei ruoli sociali esterni, e talvolta, tragicamente, dell'affetto dei propri cari. L'assenza di familiari e amici ai colloqui svela la verità più cruda della detenzione: la solitudine e l'oblio. In quei momenti, la persona detenuta si ritrova faccia a faccia con la propria verità più intima, senza filtri o maschere. La sua identità si riduce all'essenziale: la condizione di "recluso". La vista di celle vuote durante le ore di visita o la consapevolezza di non avere nessuno in attesa all'esterno incide un solco di profonda riconoscenza verso chi, invece, non dimentica. È proprio per questo che la mia visita, da cittadino libero, acquista un significato speciale, per me e per il mio ex compagno di cella. La solidarietà umana deve andare oltre le sbarre e, soprattutto, persistere dopo la scarcerazione. Tornare indietro, non per giudicare o per celebrare la propria ritrovata libertà, ma per onorare il legame di fratellanza, è per me un gesto di riconoscenza tangibile di vitale importanza. Dimostrare a chi è "dentro" che il legame forgiato in quel luogo di reclusione non si è dissolto con la fine della pena è un atto di umanità che può infondere speranza e rafforzare il senso di dignità. L'amicizia vera non è confinata tra quattro mura; essa è la dimostrazione che, al di là degli errori commessi e delle conseguenze legali, il valore di una persona non viene annullato dalla divisa o dal numero di matricola. È un ponte gettato tra due mondi che, purtroppo, restano spesso troppo distanti. La vicinanza di un amico libero è il promemoria più potente che un futuro, costruito sull'affetto e sul rispetto, è ancora possibile. en.

Ri(flessioni) 

1. Chiesa povera Parole di Papa Leone: La Chiesa deve essere con voi: una Chiesa povera per i poveri, una Chiesa che si protende, una Chiesa che corre dei rischi, una Chiesa coraggiosa, profetica e gioiosa! Una chiesa, dunque, che celebra il mistero ma non si chiude nelle sacristie ma scende per le strade, con i poveri. 

2. Lavoro, arrivano gli sportelli La Lombardia aprirà sportelli lavoro nelle carceri del territorio. Una sperimentazione che si svolgerà nel carcere di Canton Mombello, alla casa di reclusione di Verziano a Brescia e alla casa circondariale di Bergamo. A gestire gli sportelli saranno i Centri per l’Impiego (Cpi) in collaborazione con gli operatori penitenziari e le reti territoriali, la Regione avrà un ruolo di coordinamento e direzione. Il protocollo prevede una formazione specialistica per il personale delle carceri. La sperimentazione punta a coinvolgere il mondo produttivo lombardo per trasformare un test in una buona pratica stabile. g.d.a. 

3. Quale civiltà? “Ammanettate, legate ai sedili durante il trasporto, tenute in isolamento, private di vitamine e cure prenatali, malnutrite e costrette a interventi medici senza consenso”. E’ la sorte toccata alle donne immigrate incinte cadute sotto la scure repressiva del presidente Usa, Trump. Quando il Papa parla di essere umani trattati come spazzatura...

4. Siamo tutti immigrati La Chiesa è dalla parte dei migranti. Avete lavorato duramente. Avete cresciuto delle famiglie. Avete contribuito a questa nazione. Vi siete guadagnati il nostro rispetto. Come arcivescovo di Chicago, insisterò affinché siate trattati con dignità. Gli americani non dovrebbero dimenticare che tutti noi proveniamo da famiglie di immigrati. Voi siete nostri fratelli e sorelle. Siamo al vostro fianco. Così in un video l’arcivescovo di Chicago, Blase Cupich. Stava criticando le disumane politiche di Trump per i migranti e i metodi violenti della polizia. 

5. Continue tragedie del mare Sembra non scuotano quasi più nessuno le numerose tragedie del mare. Un articoletto su qualche giornale, e poi via alla prossima notizia, di ben minore importanza. Un barcone si è rovesciato e quaranta migranti sono annegati in acque tunisine, tra cui diversi neonati. Una trentina sono stati salvati. Fino a quando i Paesi europei accetteranno tutto questo? 

6. Oltre il mare, oltre i muri Ma c’è anche chi gli occhi li vuole tenere aperti. A Modena è iniziata la decima edizione del festival della migrazione. Un’occasione per studiare questo fenomeno epocale, per recuperare una cultura dell’accoglienza, e per vincere la paura che vede l’altro come nemico. dt.

- don Tiziano, cappellano del carcere di Monza

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