Settimanale di varia umanità carceraria C.C. di Monza Numero 42/25 19 ottobre 2025 XXIX domenica
La preghiera è un incontro
Anche Gesù sapeva che la preghiera è difficile, e spesso può deludere. Ai discepoli Gesù disse una parabola “sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai” (Lc 1,18). E’ davvero difficile per tutti la preghiera: momenti in cui è di grande consolazione, altri in cui non ci dice nulla; luogo dell’incontro con Dio ma anche luogo in cui sperimentare la sua assenza; la delusione poi ci prende quando abbiamo supplicato con insistenza per qualcosa di bello, giusto e importante, e lo abbiamo chiesto per altri e non per noi stessi, ma nulla è stato ottenuto; la noia che ci può prendere quando assistiamo a certe messe celebrate in modo trasandato, senza far trasparire il mistero, e una predica ancor peggio. Se la preghiera è intesa solo come chiedere a Dio ciò di cui abbiamo bisogno, magari anche qualche miracolo, è probabile che prima o poi ci si stanchi. Neanche ci accorgiamo che abbiamo chiesto di fare la nostra volontà e non, come ci è stato insegnato, la sua. Eppure il Padre nostro lo recitiamo di continuo: “sia fatta la tua volontà”. La preghiera esprime il forte desiderio di amicizia con Dio, la possibilità di entrare in comunione con lui condividendo la sua stessa vita, e ci sostiene nella volontà di compiere scelte secondo la sua volontà. Nel vangelo di oggi troviamo un giudice che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. Un giudice dal cuore duro, senza alcuna compassione verso una vedova che implorava giustizia. Nessuna intenzione di fare il proprio dovere. Ma cede per le insistenze e lo fa solo per togliersela di torno. E’ la nostra esperienza quando Dio sta in silenzio e ci sembra assente. E’ qui che la preghiera si fa indispensabile: quando si libera delle nostre pretese, quando non è chiedere che sia fatta la nostra volontà e neanche come un semplice esercizio di devozione, ma espressione di una fede che è abbandono e totale fiducia nel Dio che ci ama, nonostante troppo spesso ci appaia lontano e indifferente. La fede sulla terra il Figlio dell’uomo la troverà se al suo ritorno ci sarà ancora qualcuno che saprà mettersi nelle mani di Dio. dtiziano.
Da chi ha subìto l’inferno di Gaza
Riportiamo la testimonianza del dottor Ezzideen Shehab, ricordato brevemente anche la scorsa settimana. Troppo dolore inflitto, sogni di vita compromessi. Fin dalle prime ore del mattino, io e la mia famiglia viviamo in uno stato di totale collasso psicologico. Oggi abbiamo visto che le nostre case, la nostra terra e l'intero quartiere, ogni casa appartenuta alla nostra famiglia e ai nostri vicini, sono state completamente rase al suolo. Rase al suolo. Ridotte a una distesa arida di polvere gialla. Fin dalle prime luci dell'alba, abbiamo vissuto appieno il significato della sconfitta. Abbiamo perso più di settanta membri della nostra famiglia. Abbiamo perso la nostra terra. Ora non abbiamo una casa in cui tornare, nessun muro a proteggerci, nessun posto da chiamare nostro. E poi, uno dei leader di Hamas appare in televisione dichiarando che «il popolo non è stato sconfitto», che «Gaza ha resistito e ha combattuto una guerra storica». Che la storia lo registri: io, il dottor Ezzideen Shehab, di Gaza, insieme alla mia famiglia, ai miei amici e alle loro famiglie, non abbiamo combattuto alcuna guerra. Siamo stati vittime di un annientamento innescato da Hamas dalle nostre case, solo per vedere l'esercito israeliano piombare su di noi e scatenare tutta la sua crudeltà sui civili di Gaza, mentre i combattenti di Hamas sparivano nei loro tunnel. Che la storia registri la verità: siamo stati sconfitti, completamente, dolorosamente e completamente. E siamo noi, il popolo di Gaza, ad avere il diritto di dire se siamo stati sconfitti o meno, non coloro che se ne stanno comodamente seduti in Qatar o in Turchia. Siamo stati schiacciati, umiliati e distrutti dopo che la nostra città è stata distrutta, occupata e cancellata dall'esistenza. Siamo stati sfollati, spogliati di tutto ciò che avevamo costruito, abbandonati a vagare tra le rovine delle nostre vite. E da qualche parte in mezzo a tutto questo, ho capito qualcosa di semplice e terribile: le lacrime di mia madre sono più sacre della patria stessa, e la disperazione di mio padre conta per me più di qualsiasi bandiera. Perché che senso ha una patria quando divora chi ami, quando glorifica la morte ma dimentica i vivi? Non siamo stati «saldi». Siamo stati tenuti in ostaggio nella nostra stessa terra. Non potevamo andarcene. Non potevamo cambiare coloro che pretendevano di governarci. Siamo stati intrappolati tra un occupante spietato e governanti che si nutrono della nostra sofferenza. E se c'è un momento nella mia vita in cui devo dire la verità, senza paura, senza esitazione, allora è proprio questo. Sia scritto chiaramente: non siamo stati soldati in guerra. Siamo i corpi sepolti sotto di essa. Ezzideen Shehab.
In ricordo di Alfredo Mosca
In tanti conoscevano Alfredo Mosca, non solo i compagni di cella e di sezione. Aveva sessantadue anni. Lunedì è stato trovato in cella, nel suo letto, ormai morto. Da due giorni non stava bene; ora si dovranno stabilire le cause della morte. Una morte così ha evidentemente scosso un po’ tutti: dolore, paura, non poter fare nulla, qualche senso di colpa. Se morire è ciò a cui tutti andiamo incontro e la morte è esperienza quotidiana, morire in carcere ci appare ancor più doloroso, sembra una violenza ulteriore verso chi stava già soffrendo, privato della libertà, lontano dai suoi cari, nella solitudine di una cella. Lo ricordiamo oggi, domenica, nelle messe che celebriamo qui in carcere.
Povertà in Italia
In Italia, secondo i dati dell’Istat, nel 2024, i poveri in condizione di estremo bisogno erano 5,7 milioni; le famiglie interessate ben 2,2 milioni. Persone che vivono in povertà assoluta perché non hanno risorse sufficienti neanche per procurarsi ciò che è indispensabile. Particolarmente alta la percentuale di famiglie in povertà assoluta tra quelle straniere e quelle numerose. Tanti e complessi i motivi che riducono le famiglie in povertà assoluta. I vari strumenti messi in atto dalla politica non sembra stiano portando frutti apprezzabili alle famiglie povere. Occorrerebbe una maggior attenzione verso chi resta indietro, chi non ce la fa più, chi resta senza nulla. Occorrerebbe un cambiamento di rotta, una maggiore e più equa distribuzione delle risorse, nella linea di non favorire che i ricchi siano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Il Presidente Mattarella, quasi a commento: Tante famiglie sono sospinte sotto la soglia di povertà nonostante il lavoro di almeno uno dei componenti, mentre super manager godono di remunerazioni centinaia, o persino migliaia di volte superiori a quelle dei dipendenti... Sono le entrate fiscali dei dipendenti pubblici e privati, dei pensionati, a fornire allo Stato, attraverso le imposte, il maggior volume di risorse.
Camminata luminosa verso il carcere di Monza
Giovedì prossimo, 23 ottobre, le parrocchie di Monza, Brugherio e Villasanta, in collaborazione con il carcere, hanno organizzato una fiaccolata che partirà dalla parrocchia di San Rocco e terminerà alle porte del carcere. E’ una iniziativa che si inserisce nelle celebrazioni del Giubileo. Un cammino di preghiera e di speranza verso il luogo dove i nostri fratelli e sorelle vivono l’esperienza del carcere. Invitiamo il più possibile a partecipare, anche per esprimere vicinanza e sostenere chi è recluso. E’ un gesto che può fare miracoli.
La partenza è alle ore 20,45 dalla parrocchia di San Rocco.
Ri(flessioni)
1. Giustizia è tenerezza Ieri mattina a Bergamo, organizzato dai vescovi, dalla caritas e dai cappellani della Lombardia si è svolto il Convegno “I nomi della giustizia”, la questione penale tra memoria e futuro. Interessanti i nomi dati alla giustizia: - il nome della giustizia è tenerezza – dignità – accoglienza –dialogo e speranza. Per ogni nome un relatore ha spiegato il significato. E’ possibile tendere a una giustizia il più possibile giusta, compassionevole, e anche evangelica. Che non sia solo punizione e carcere. Scrisse il card. Martini: La carcerazione va vista come un intervento di emergenza, un estremo rimedio per arginare una violenza gratuita e ingiusta, impazzita e disumana.
2. Servire la Patria con amore Disumano e impazzito il comportamento dei due fratelli e della sorella che hanno fatto saltare la casa, dopo averla saturata di gas, mentre entravano le forze dell’ordine. Tre carabinieri hanno perso la vita. Giusto ricordare i loro nomi e rendere onore: Marco Piffari, Valerio Da Prà e Davide Bernardello. Servitori dello Stato, hanno servito la patria con amore, hanno detto di loro durante i funerali di Stato.
3. Un bel gesto Un bel gesto di riconoscenza hanno compiuto gli ex alunni del professor Marco Faresin, di anni 92. Insegnò per quarant’anni ragioneria a tantissimi ragazzi. Desiderava incontrarli ancora una volta. Si sono ritrovati in cento, assieme ad alcuni insegnanti, per passare una serata di ricordi e riconoscenza. Ho i giorni contati, ma questo è uno dei più felici. Un uomo che ha saputo educare e di sicuro anche amare; ragazzi e ragazze che hanno imparato, non solo ragioneria, ma a diventare uomini e donne mature, capaci di riconoscenza.
4. Paesaggio urbano Linea dura del Governo tedesco nei confronti dei migranti. Questo perché accoglierli fa perdere voti. E’ comunque una linea in questo momento seguita da tanti Governi europei. Ma penso anche condivisa da moltissimi cittadini. Non sono molto belle le espressioni usate dal Cancelliere tedesco Merz per definire la presenza dei migranti L’immigrazione ha un impatto sul paesaggio urbano, per questo stiamo proseguendo nel nostro piano di controlli ai confini e respingimenti. Credo che più rispetto verso i migranti sia indispensabile e che non possono essere solo loro i responsabili del degrado urbanistico. dt.
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