Settimanale di varia umanità carceraria C.C. di Monza Numero 36/25 7 settembre 2025 XXIII domenica Tempo Ordinario




Senza trattenere 

Un brano tratto dai Detti dei Padri del deserto. A un fratello che desiderava fare il monaco, ma che aveva trattenuto qualcosa per sé, Abba Antonio disse: Se vuoi diventare monaco, va’ al villaggio, compra della carne, legatela attorno al corpo nudo e poi vieni qui. Così fece. Ma i cani e gli avvoltoi gli si precipitarono addosso. Tornò da Antonio tutto dilaniato. Questi lo guardò e gli disse: chi rinuncia al mondo, e tuttavia vuol conservare ricchezze, così viene dilaniato dai demoni che gli fanno guerra. Quando fai una scelta, soprattutto se radicale, occorre la forza e il coraggio di andare fino in fondo. Altrimenti non si è più credibili e, se non si è troppo faciloni, si perde anche la fiducia in se stessi. L’aspirante monaco voleva rinunciare al mondo, ma forse ciò che del mondo poco gli interessava. Voleva donarsi interamente a Cristo ma pensava ancora troppo a sé. Era una brava persona ma aveva ancora tanta strada da fare. Il vangelo di oggi, con una certa crudezza, ci ricorda che non dobbiamo essere cristiani all’acqua di rose. Due volte Gesù dice: non può essere mio discepolo. Chi? - Chi non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita. – Chi non rinunzia a tutti i suoi averi. Gesù ci sta chiedendo un amore incondizionato che non ammette distrazioni e scorciatoie. A noi può sembrare troppo e anche irrealizzabile. Ma credo che Gesù arrivi a chiederci tanto perché Lui è così che ci ama. Ha lasciato tutto per poterci amare senza limiti e condizionamenti. Niente che potesse trattenerlo dal donarsi ogni giorno per annunciare il vangelo e aiutare le persone in difficoltà, e niente lo ha trattenuto dalla prospettiva della morte in croce, e sappiamo quanto abbia sofferto. Ciò che abbiamo bisogno di capire è che amare Gesù e seguirlo, lasciando pure tutto, non ci esclude dagli affetti e dalle relazioni che la vita ci offre. Seguirlo significa immergerci in un amore divino, immenso, capaci di amare come ama Lui. Gesù è passato tra gli uomini amandoli, senza trascurare affetti e relazioni significative, alla luce della sua dedizione completa al Padre. Ci stava dicendo che rimanere in Dio ci rende ancora più capaci di amare e coltivare affetti. Senza contrapposizione alcuna. Don Oreste Benzi diceva: Dal riconoscimento del primato di Dio vengono fraternità e libertà, mentre dall'idolatria vengono violenza e oppressione. dtiziano

Chi ben comincia… ingresso in carcere fase delicata 

Nel foglio di domenica scorsa abbiamo riportato l’aggiornamento - tragicamente - del numero di suicidi in carcere: nel corso di questo anno finora sono riusciti a togliersi la vita in 58. Al di là delle motivazioni e dei meccanismi che conducono a un gesto tanto drammatico e definitivo, si citava un dato saliente: molti casi di suicidio avvengono nei primi giorni di detenzione; in molti casi, soprattutto quando si tratta di prima detenzione, l’impatto col sistema carcerario è dirompente, la personalità è messa alla prova e le fragilità vengono messe a nudo. In questo, il sistema non ha molte ricette risolutive. Come altri, ho sperimentato sulla mia pelle l’ingresso in carcere, la prima detenzione, l’arrivo in osservazione, dove rimasi per due settimane, e poi i primi giorni in sezione. Fui messo con un ragazzo tossicodipendente, completamente fatto, che dormiva sempre (per fortuna), senza vestiti, senza un soldo, quindi senza sigarette… ah, quello fu un problema: neanche il lavorante dell’Osservazione gliene dava più, e quando non dormiva se ne lamentava in continuazione. Dal carcere ebbi io qualche aiuto? No. Istruzioni precise su cosa fare e cosa no? Niente. Tutto abbastanza fumoso e lasciato alla buona voglia e alla discrezionalità di un lavorante o di un altro detenuto delle celle vicine, con qualche consiglio e molti avvertimenti. Per esempio, la spesa settimanale, che in Osservazione era limitata all’essenziale, nessuno me la spiegò. Rimasi con le poche cose che mi ero portato, i vestiti che indossavo all’ingresso, un solo paio di jeans e scarpe, perché ero stato arrestato all’estero, non avendo poi modo di preparare il necessario per stare dentro. Poi, ricordo, venne una suora, passò dopo qualche giorno, io non avevo niente, né asciugamani né bagnoschiuma, neanche le ciabatte, in doccia mi asciugavo con un lenzuolo che mi era stato dato extra! Grazie alla volontaria ebbi almeno le ciabatte! Ecco, nel mio caso, senza parenti in Italia, senza il minimo indispensabile, senza esperienza di carcere alle spalle, forse, con una personalità meno strutturata e qualche caduta nel mio amor proprio, sarei potuto essere anch’io uno di quei suicidati. Negli anni scorsi a Monza un progetto che si chiama “peer supporter” ha cercato di dare una risposta a questo problema: alcuni detenuti, italiani e stranieri, appositamente preparati ed addestrati, soprattutto a livello psicologico, erano autorizzati ad andare nelle celle, in particolare in Osservazione, e supportare, su segnalazione della polizia penitenziaria, i nuovi giunti con problematiche o criticità. Un bel progetto. Da coltivare e continuare, rendendolo standard per i nuovi arrivati. Perché la condanna per i reati commessi non si trasformi in condanna della vita. e.n.

Don Oreste Benzi: dove noi, anche loro 

Cento anni fa, 7 settembre 1925, nasceva don Oreste Benzi, figura di spicco sia in ambito ecclesiale che sociale. Un uomo da non dimenticare. Non solo con qualche evento celebrativo in memoria, ma per riscoprire l’attualità di quanto ha insegnato e vissuto, anche dicendo verità scomode, indicando abitudini che andrebbero condannate e non sopportate. Don Oreste Benzi lo scribacchino di Dio, così si definiva. Un’affermazione che, secondo me, sintetizza bene il senso della sua vita: Dove noi, anche loro. Non fare qualcosa, ma gli ultimi facciamoli stare con noi. Le comunità da Lui fondate, le Comunità Papa Giovanni XXIII, sono diffuse in tante parti del mondo e accolgono in un clima familiare persone con i più svariati disagi. Qualche sua frase che rivela bene lo spessore dell’uomo. - Devo dire che le cose più importanti non le ho imparate dai libri, ma dalla vita, dal contatto con la gente, coi poveri. I poveri sono davvero i miei migliori maestri. E’ la capacità di guardare il volto del fratello, capire i desideri e le paure, le umiliazioni subite, la complessità della vita che non permette giudizi, tutto questo ci fa crescere. I libri non bastano, per quanto possano essere utili e interessanti. - L’uomo non è il suo errore. Tu non sei un ladro, sei un uomo che ha rubato. Parole che restituiscono la dignità, donano speranza e forza per cambiare vita. - Se non ci fosse la domanda, non ci sarebbe l’offerta. Se gli italiani non chiedessero prestazioni sessuali a pagamento, non ci sarebbe la tratta delle donne che vengono schiavizzate e forzate, da criminali singoli o associati, a dare le prestazioni sessuali richieste. Don Benzi considerava la prostituzione una forma di violenza sulle donne, soprattutto quando le donne erano obbligate a stare sulle strade e trattate come schiave. Voleva bene alle prostitute e le chiamava sorelle. Centinaia di loro hanno lasciato la strada e, con il suo aiuto, hanno cambiato vita. - dobbiamo vedere i fatti, la gente si sente tradita tutte le volte che ripetiamo le parole di speranza, ma non c’è l’azione. Cos’hanno lasciato i cattolici, permettetemelo? Hanno lasciato la devozione. Devozione che è unione con Dio-Amore, che è validissima, ma la devozione senza la rivoluzione non basta, non basta. La fede senza le opere è morta. dt. 

In macerie il vecchio carcere 

Che bello vedere un carcere finire in macerie. Giù le mura alte 10 metri, via le torrette, basta celle dove fino al ‘93 venivano ammassarti fino a 20 detenuti. Il vecchio carcere di via Mentana a Monza non c’è più. Al suo posto ci sarà un bel palazzo per abitazioni. Finalmente si concretizza il mandato dell’articolo 27 della Costituzione dove la parola carcere non c’è ma solo rieducazione e dignità. Purtroppo però è un sogno perché di carceri ce ne sono ancora tante, troppe. E pure malmesse, anche se più “moderne”, ma dove il sovraffollamento è alle stelle, le condizioni igieniche pessime, quelle sanitarie non ne parliamo. Una storia che si ripete. E il sogno muore. g.d.a.

Ri(flessioni) 

1. Settecento giorni Sono passati settecento giorni da quel terribile 7 ottobre di due anni fa. Un orrore che ha portato a una reazione, tuttora in corso, di altrettanto orrore e di dimensioni spaventose. Sembra che le parti direttamente in causa non abbiamo intenzione di fare un passo indietro. Pronti a sacrificare la vita, quella degli altri, però. E la povera gente continua a soffrire e a morire. 

2. Per andare dove? Secondo l’esercito israeliano almeno duecentomila persone, nonostante i gravi rischi che corrono per l’assedio in corso, non lasceranno le loro abitazioni nella città di Gaza. Poveri, malati, anziani, troppo esausti per andare da un’altra parte. E dove poi? Non solo: e come andare? 

3. La legge prima della coscienza? Una decina di migranti gettati in mare, come fossero rifiuti, salvati dalla nave Ong Mediterranea, portati a Trapani e non a Genova, come indicato da Roma secondo il decreto Piantedosi: avrebbe comportato altri tre giorni di navigazione per persone già duramente provate. Ora questa nave ha subìto un drastico provvedimento: diecimila euro di multa e fermo amministrativo per sessanta giorni. Non hanno alcuna importanza la sofferenza e la dignità delle persone: possono continuare a morire in mare. Un decreto va sempre rispettato, anche quando va contro la propria coscienza? E, in questo caso, direi anche contro il buon senso. E’ giusto pagare le conseguenze quando si infrange la legge. Ma chi le pene le infligge non si pone qualche domanda quando si infliggono per aver salvato vite umane? A meno di criminalizzare chi le compie. 

4. Brutta figura La motovedetta che ha sparato centinaia di colpi a una nave che aveva tratto in salvo decine di migranti è stata donata dall’Italia ai libici. Siamo sicuri di volere questo? 

5. No ai Cpr Ultimamente si parla poco dei Cpr (Centri di permanenza per i rimpatri). Neanche per fare propaganda. Troppe criticità, aspetti oscuri di dubbia legalità, condizioni di vita umilianti, uso improprio ed esagerato di psicofarmaci, privazione della libertà anche a chi non ha commesso reati. Definiti più volte lager. Ora, nuove denunce, definiscono i Cpr luoghi dove ci sono gravi problemi di salute mentale, dove ci si ammala facilmente. Ragazzi che potrebbero offrire molto per il bene di tutti, rovinati e incattiviti da tanta disumanità. A chi giova? dt.

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