Settimanale di varia umanità carceraria C.C. di Monza Numero 23/25 8 giugno 2025 Domenica di Pentecoste

 


Adesso, subito, questa sera uniti 

C’è una possibilità, anche se siamo portati, e non a torto, a ritenerla molto improbabile. Siamo stanchi di vivere in un mondo dove non si riesce ad andare d’accordo, dove le distanze tra gli uomini anziché diminuire si fanno sempre più profonde, e si è incapaci di un vero dialogo preferendo ricorrere all’uso delle armi. Speriamo di essere anche stanchi, ma non ne sono tanto sicuro, di accettare che i poveri siano sempre più poveri, gli ultimi sempre ultimi. Speriamo che nel cuore di tutti ci sia almeno il sincero desiderio di pace (non quella sbandierata dai dittatori, anche democratici, di turno). Speriamo che i nostri occhi non debbano più vedere corpi straziati, e le nostre orecchie ascoltare notizie di intere famiglie distrutte, di popoli colpevolmente ridotti alla fame. La gente umile, la gente che non ha sporchi interessi da difendere, la gente non accecata dall’odio o dal fanatismo religioso, sa che cosa sia importante nella vita. E vorrebbe vivere in pace. Vorrebbe che non si costruissero più muri ma ponti, vorrebbe incontrarsi con ogni uomo o donna di questa mondo, e considerare tutto questo qualcosa di meraviglioso. Dal libro degli Atti questa domenica leggiamo che la folla rimase turbata perché sentivano gli apostoli parlare in tutte le lingue dopo aver ricevuto il dono dello Spirito ed erano stupiti e fuori di sé per la meraviglia. Quel parlare in altre lingue è il segno che ci si può intendere, che non siamo obbligati ad andare per la propria strada, che c’è un linguaggio comune che ci porta alla condivisione di un cammino possibile a tutti. La Pentecoste ci dice proprio questo: Gesù ha inviato lo Spirito, più volte promesso, capace di abbattere le divisioni, di non rimanere nel peccato degli uomini che costruirono la torre di Babele, capace di creare unità nel genere umano. Adesso, subito, senza rimandare a domani perché ogni giorno porta con sé morte e distruzione. Ricordo le parole che mi colpirono quando sentii una canzone del complesso rock irlandese degli U2, Sunday Bloody Sunday. Si riferiva a una sanguinosa domenica dove gli inglesi, durante una manifestazione, uccisero 14 civili e ne ferirono altrettanti. Non riesco proprio a credere alle notizie di oggi / non posso chiudere gli occhi per fingere che nulla sia successo. / I bambini scalzi che calpestano cocci di vetro/ e i cadaveri allineati sul fondo di una strada senza uscita. / Han vinto le trincee scavate nei cuori. Per quanto, quanto ancora ci toccherà questa sorte? Per quanto tempo. Questa sera potremmo già essere uniti. Sì questa sera, proprio questa sera. Ci guardiamo attorno e ci accorgiamo che questa sera tarda ad arrivare. dtiziano

Noa: Non in mio nome 

La celebre cantante Noa, israeliana di origini yemenite, intervenendo al Festival dei Cammini di Francesco, nella basilica di Santa Croce a Firenze, ha pronunciato parole intense e sofferte sulla tragica situazione di Gaza, l’inaudito massacro in atto, la crudeltà a cui ogni giorno assistiamo. Devo parlare in termini chiari: come israeliana, come donna, come ebrea, madre, essere umano, chiedo la fine immediata dell’orribile guerra condotta a Gaza. All’inizio questa guerra è stata giustificata come rappresaglia per il mostruoso attacco contro i civili israeliani del 7 ottobre, dove Hamas ha massacrato, violentato, mutilato e rapito uomini, donne e bambini, ma da allora si è mostruosamente trasformata in una guerra di attacchi folli, illegali, immorali contro civili innocenti, tra cui migliaia di bambini che vengono affamati e uccisi in modo indiscriminato. Questo va al di là delle parole, al di là dell’immaginazione. Sono devastata, disgustata e furiosa. Desidero innalzare la mia voce in modo chiaro e netto: non in mio nome si sta facendo questo, non in nome di milioni di israeliani che sono stati illusi, raggirati, ingannati, traditi e rapiti da un gruppo demoniaco folle e corrotto di persone che, se non verranno fermate, condurranno non solo Gaza ma anche Israele alla morte. 

Gaza: un segno di speranza 

Tra gli innumerevoli orrori quotidiani che avvengono un gesto di umanità può sembrare poca cosa. Ma non è così. Dice che si può sempre fare qualcosa, che non tutti pensano che il potere sia anche libertà di compiere il male e che scegliere di non spezzare la catena dell’odio e della vendetta porta solo ad altro odio, vendetta e morte. Una numerosa folla di cittadini israeliani si è mossa verso i valichi che imprigionano gli abitanti di Gaza, portando sulle spalle sacchi di farina e altri aiuti umanitari. Un gesto coraggioso, ma credo anche rischioso, di solidarietà. Dichiarano: Protestiamo contro l’annientamento di Gaza, dopo che la polizia ha cercato di impedirci di marciare. Siamo qui contro la fame, l’uccisione dei bambini e contro il nostro governo. C’è una forza che il popolo, almeno la parte migliore, non deve dimenticare di avere: non chiudersi in se stessi ma lottare per il bene di tutti, non cercare di salvarsi da soli perché siamo tutti sulla stessa barca e ricordarsi che non ci sarà mai pace se non si rende giustizia. 

Referendum: votare? 

Neanche quando si tratta di esercitare un diritto costituzionale fondamentale per una democrazia, tra l’altro costato molto per ottenerlo, i politici non sono d’accordo. Tutti, prima o poi, lo fanno. Guardano al proprio tornaconto immediato, invitano a disertare le urne. La possibilità dei referendum non gode di ottima salute per diversi motivi, soprattutto perché per la validità occorre raggiungere il 50% dei votanti. Andrebbe ripensato. Ma invitare a disertare le urne da parte dei politici, soprattutto se ricoprono ruoli istituzionali, non mi sembra cosa buona. Sempre meglio andare a votare. dt.

Presentato il 21° rapporto sulle carceri italiane: Senza respiro

“Senza respiro” è il titolo dell’ultimo Rapporto sulle carceri presentato giovedì 29 maggio dall'associazione Antigone: il sistema penitenziario è «a rischio deflagrazione». Tanto più per via del nuovo reato di rivolta penitenziaria che si determina anche con la resistenza passiva. Dal penitenziario più grande d’Italia, quello di Poggioreale a Napoli con i suoi oltre 2mila reclusi, fino all’istituto più piccolo, quello a Custodia Attenuata per Madri (Icam) di Lauro (5 mamme con 5 bambini), il report restituisce l’immagine desolante di una condizione detentiva sempre più lontana dalle regole democratiche e di umanità. A cominciare dagli spazi: 46.780 posti effettivamente disponibili (in diminuzione rispetto al 2023) erano occupati il 30 aprile 2025 da 62.445 persone, con un tasso medio di affollamento del 133%. In due anni la capienza effettiva è calata di 900 posti, mentre le presenze sono aumentate di oltre 5.000 unità. I detenuti infatti crescono di circa 300 unità ogni due mesi. Non raramente (in 30 carceri) lo spazio a disposizione di ciascun recluso è minore di quello minimo (3 mq) richiesto dalla CEDU. In molti casi le celle sono senza acqua calda (come a Monza) e in alcuni addirittura senza riscaldamento. Per contrastare il sovraffollamento bisognerebbe costruire sei carceri l’anno per un costo di circa 180 milioni di euro, senza contare il personale. E i nuovi padiglioni prefabbricati in arrivo? «Sovraffollati giù dal progetto». In realtà i tassi di criminalità sono in calo, in particolare gli omicidi volontari, e resta invariato il numero di reati contro il patrimonio, quelli più frequenti. Il carcere è la misura cautelare più usata, specie per gli stranieri. Quasi 10mila persone hanno condanne inferiori ai tre anni (soggetti fragili, spesso senza avvocato e plurirecidivi). Gli stranieri sono il 31,6%, in diminuzione rispetto al 37,5% del 2007. Ve ne sono in particolare in Lombardia e Lazio, e sono sempre più giovani. Con 611 minori reclusi (oltre agli altri 189 appena maggiorenni trasferiti in carceri per adulti), anche gli Ipm sono in sofferenza: al Beccaria di Milano e a Cagliari il tasso di affollamento è del 150%. I suicidi, l’altra grande piaga: nel 2024 sono stati 91, mai così tanti; in Italia il tasso di suicidi in carcere è oltre il doppio della media europea. Gli agenti sono pochi (più o meno 1 ogni 2 detenuti) e distribuiti in modo disomogeneo. Mancano poi 93 direttori e una marea di operatori. E gli investimenti destinati all’amministrazione penitenziaria, malgrado i tanti annunci, non risultano in aumento.

Ri(flessioni). 1

. Carcere di Marassi Un fatto piuttosto grave avvenuto nel carcere genovese di Marassi: un tentativo di rivolta, clima incandescente, preoccupazione per l'incolumità di chi sta dentro e anche fuori. Sembra causato da violenze e stupri su un giovane di 18 anni da parte di alcuni detenuti. Sarà tutto da chiarire. E’ l'ennesimo segnale di malessere del sistema penitenziario. Un malessere che viene "da dentro", se, come è vero, sono le stesse parole di chi svolge il lavoro di agente di Polizia penitenziaria a descrivere lo stato delle cose: Tutto questo è il segno tangibile dello stato di degrado delle carceri, che non può essere affrontato con interventi meramente repressivi, come l'introduzione del reato 'impossibile' di rivolta, ma agendo soprattutto sulla prevenzione attraverso l'umanizzazione delle condizioni di lavoro degli operatori e della detenzione. e.n. 

2. La perversa logica della guerra Annunciata e inesorabilmente arrivata la vendetta della Russia dopo gli attacchi di Kiev: Kharkiv e Kherson, due città ucraine, sono sotto attacco dei missili russi. Seminando distruzione e morte. Una spirale sempre più diabolica che non lascia scampo a una giusta soluzione. Lo scopo è annientare il più possibile l’altro, il nemico. E’ fin troppo evidente che la guerra è il seme per un'altra guerra, che l’odio porta all’odio e la morte alla morte. 

3. Matrimoni a Milano Da gennaio a maggio di quest’anno c’è stato un forte calo dei matrimoni celebrati in chiesa: solo 63 a fronte dei 929 matrimoni civili. Secondo i dati dell’anagrafe comunale ci sono stati anche 59 unioni civili di cui 40 coppie di uomini e 19 di donne. I numeri dicono molto ma non tutto. Ad esempio molte coppie che si sposano con rito civile chiedono in seguito il matrimonio religioso. E’ del tutto evidente però che sta venendo meno la dimensione spirituale del matrimonio, e che non ci siano sufficienti motivazioni di fede. Se davvero è così la preoccupazione non deve essere solo quella dei pochi matrimoni religiosi, ma della sempre più marcata indifferenza religiosa e quindi dalla mancanza di fede di molti giovani. 

4. Undici nuovi preti per Milano Ieri mattina sono stati consacrati, dall’arcivescovo Delpini, undici nuovi preti che saranno al servizio della diocesi di Milano. Sono pochi, certo, per una grande diocesi come la nostra, con tante necessità e percorsi inediti da pensare e sperimentare. Sono tanti, invece, se pensiamo che in realtà un giovane che segue la vocazione di diventare prete è un miracolo. Accompagniamoli con la preghiera perché ciò che oggi hanno nel cuore diventi il loro vissuto. E che siano uomini tra gli uomini. dt

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