Settimanale di varia umanità carceraria C.C. di Monza Numero 24/25 15 giugno 2025 Santissima Trinità - Don Tiziano




Perché, Signore, hai taciuto? 

Come possiamo conoscere Dio? Di Lui cosa siamo in grado di dire? Soprattutto, se crediamo di aver capito qualcosa, quanto la nostra vita è segnata dalla sua presenza? In tanti lo hanno cercato, con tanta onestà, con sofferenza, con intima gioia, ma anche con delusione, insoddisfatti per risposte che non si trovano. Sembra che l’arguto scrittore Giuseppe Prezzolini sia l’autore di questo aforisma: Dio non mi risponde; e farò senza Dio. In tanti si allontanano da Dio, non sempre come rifiuto, ma per il suo silenzio, per il disinteresse verso l’umanità che sembra essere il suo modo d’agire, perché sembra assurdo credere nella sua esistenza quando accadono crimini orrendi. Nel romanzo “La peste” di Albert Camus, uno dei protagonisti, davanti al cadavere di un bambino, grida al prete: Questo qui almeno era innocente, lei lo sa bene. Mi rifiuto sino alla morte di amare questa creazione dove i bambini sono torturati. Un netto rifiuto di un Dio che permette la sofferenza anche di bambini innocenti. Anche il papa Benedetto XVI, quando visitò il campo di sterminio di Auschiwtz, riferendosi al silenzio di Dio, formulò questa terribile domanda: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo? Domanda sempre attuale, purtroppo! E’ davvero difficile il rapporto con Dio. Credo che l’uomo di fronte a Dio possa solo, con tanta umiltà, balbettare, rimanere sempre in ricerca, senza mai piegare Dio ai propri desideri, senza mai usare Dio per i propri scopi, né cattivi né buoni. L’uomo, quando si serve di Dio, commette crimini orrendi, diventa feroce. La festa della Trinità ci invita a riflettere sulla realtà di Dio perché per un cristiano Dio è comunità d’amore tra il Padre, il Figlio e lo Spirito santo. Abbiamo capito che quando parliamo di Dio possiamo solo balbettare con tanta umiltà, meglio allora se impariamo dalle parole di Gesù quando ci ricorda che soprattutto attraverso di Lui possiamo arrivare a una maggior conoscenza di Dio. Così ha scritto papa Leone per la prossima giornata dei poveri: La più grave povertà è non conoscere Dio. Le ricchezze spesso illudono e portano a situazioni drammatiche di povertà, prima fra tutte quella di pensare di non avere bisogno di Dio e condurre la propria vita indipendentemente da Lui. La ricerca di Dio accompagnerà la nostra storia, combattuti tra il desiderio di conoscerlo e lo sconcerto per il suo silenzio. dtiziano

L'Importanza Cruciale del Ruolo dei Peer Supporter in Carcere 

Il sistema penitenziario, per sua natura, è un ambiente complesso e spesso alienante, dove la privazione della libertà si accompagna a sfide significative per la salute mentale e il benessere dei detenuti. In questo contesto, il ruolo dei peer supporter - "aiuto tra pari", progetto dell'area educativa avviato anche a Monza - emerge come un elemento di valore inestimabile, un ponte tra l'esperienza vissuta e il supporto necessario, capace di incidere profondamente sul percorso riabilitativo e sulla qualità della vita all'interno delle mura carcerarie. I peer supporter sono detenuti che, avendo attraversato esperienze simili, sono stati formati per offrire un supporto emotivo, pratico e informativo ai loro compagni. Non sono figure professionali nel senso tradizionale del termine, ma la loro forza risiede proprio nella loro "parità" di condizione. Questa vicinanza esperienziale crea un livello di fiducia e comprensione reciproca che difficilmente può essere raggiunto da figure esterne, seppur professionalmente qualificate. Un detenuto che ha affrontato la solitudine, l'ansia, la depressione o le difficoltà di adattamento alla vita carceraria è in grado di comprendere e validare le emozioni di chi sta vivendo le stesse sfide, offrendo una prospettiva autentica e non giudicante. Il primo e più evidente beneficio del peer support è la riduzione dell'isolamento. Il carcere può essere un luogo di profonda solitudine, dove la mancanza di connessioni significative aggrava il disagio psicologico. Attraverso la condivisione delle proprie esperienze di successo nella gestione delle difficoltà, i peer supporter possono infondere speranza e motivazione. Possono guidare i compagni attraverso i programmi disponibili in carcere, spiegare procedure, facilitare l'accesso a risorse e incoraggiare la partecipazione ad attività costruttive. La loro credibilità, derivante dal fatto di "essere passati attraverso tutto questo", li rende particolarmente efficaci nel trasmettere messaggi di cambiamento e responsabilità. Un altro aspetto fondamentale è l'impatto sulla salute mentale. Spesso, lo stigma associato ai problemi di salute mentale rende difficile per i detenuti chiedere aiuto ai professionisti. I peer supporter possono agire come un primo punto di contatto, normalizzando l'esperienza del disagio e incoraggiando i compagni a cercare assistenza professionale quando necessario. La loro presenza può ridurre le barriere alla comunicazione e contribuire a una diagnosi e un trattamento più tempestivi di condizioni psichiatriche. Non va sottovalutato il beneficio che l'attività di peer support porta agli stessi supporter. Assumersi un ruolo di responsabilità, aiutare gli altri e sentirsi utili contribuisce a migliorare l'autostima, a sviluppare nuove competenze e a rafforzare il proprio senso di scopo. Questo, a sua volta, può avere un impatto positivo sul loro stesso percorso di riabilitazione e sulla probabilità di un reinserimento di successo una volta rilasciati. en.

 




























Bambini in Palestina: disegno

Intervista al Card. Pierbattista Pizzaballa 

Chiare e forti le parole del card. Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, nell’intervista rilasciata giovedì scorso a Pomeriggio24 Rainews. C’è molto su cui riflettere, ma sono anche un forte monito, un doloroso grido di aiuto rivolto a coloro che possono e devono fare qualcosa. Senza più perdere tempo prezioso. Sono parole che nascono non da qualche interesse particolare ma da vera compassione per l’umanità, sincero desiderio di pace, ricerca di strade percorribili senza creare nuovi nemici, senza seminare altro odio che porterà a nuovi e sempre più devastanti tragedie. Ecco alcuni passaggi dell’intervista. - E' vero che l'Italia è da tempo impegnata nell'aiuto umanitario, soprattutto nell'accoglienza dei bambini, di malati e di feriti palestinesi, ma la situazione qui resta disastrosa, drammatica e disumana. - Il sistema sanitario è saltato completamente, mancano medicinali, igiene, acqua, manca il cibo da mesi e la popolazione è affamata, soprattutto a Nord dove la situazione è particolarmente drammatica”. - Sono esterrefatto, non riesco a capire il senso di tutto questo che va oltre ogni limite comprensibile. Questa guerra la stanno pagando gli ultimi, i poveri, le donne, i bambini che non dimentichiamolo non sono solo affamati ma non vanno neanche più a scuola: è una situazione disumana. Non riesco a immaginare cosa provino i bambini è una cosa che noi religiosi gridiamo al cospetto di Dio. - C'è una deriva incomprensibile di chi sta seminando odio, non solo qui in Terra Santa, ma in tutto il Medioriente. - La Chiesa sta facendo molto con i suoi mediatori per sbloccare gli aiuti umanitari ma non è facile, io personalmente sento un forte senso di impotenza. - - Sono in contatto con Papa Leone, non quotidianamente ma c'è dialogo continuo, soprattutto per cercare di sbloccare almeno l’aspetto umanitario. - La diplomazia internazionale non può rimanere inerme. - Antisemitismo crescente: sarebbe bene “uscire dai soliti slogan, uscire da discussioni sterili che non conducono alla pace. Quel che resta inaccettabile osserva è la condotta dell'attuale governo i israeliano, che tuttavia non rappresenta Bambini in Palestina: disegno tutti gli ebrei.

Ri(flessioni). 

1. Suicidi in carcere 

Diventa difficile anche solo tenere il conto dei suicidi nelle carceri italiane. Lunedì suicidio nel carcere di Cagliari di un uomo italiano di 56 anni, appena rientrato in carcere dopo un periodo di latitanza. Poi, sempre in questa settimana, tra mercoledì e giovedì, ci sono stati tre suicidi in poche ore. A Santa Maria Capua Vetere, un detenuto trentenne, che aveva ucciso la moglie, affetto da patologie psichiatriche, si è tolto la vita. A Sassari un italiano di 47 anni, è stato trovato morto in cella per cause ancora da accertare con sicurezza. A Campobasso, un detenuto di 60 anni, anche lui con problemi psichiatrici, si è tolto la vita, impiccandosi. 38 ormai i suicidi dall’inizio dell’anno 

2. Morti in carcere 

In carcere si muore anche per tante altre cause. I dati ufficiali dicono che quest’anno sono già ottanta i detenuti morti in cella, oltre ai suicidi. Come il giovane di 34 anni per una caduta in cella; il 27enne morto nel carcere di Regina Coeli e a Varese un uomo di 35. Segno di grande fragilità tra i detenuti. Che andrebbe affrontata seriamente. 

3. Morte nei CPR 

Si chiamava Hamid Badoui, aveva 42 anni e viveva in Italia da 15. Si è tolto la vita nel carcere di Torino, il giorno dopo essere stato arrestato. Soggetto estremamente fragile, sprovvisto da valido permesso di Soggiorno, era stato rinchiuso nei CPR (centri di permanenza per il rimpatrio), prima di Bari e poi a Gjader, in Albania. Aveva paura di essere riportato nei CPR. Meglio il carcere che tornare in Albania. Qualcosa non quadra. La garante dei detenuti, Monica Gallo, a proposito dei CPR: un sistema inutile che nega la dignità delle persone straniere. In questi centri sono morti almeno 15 persone negli ultimi sei anni. 

4. Fino alla fine 

Giornata di lutto e di grande dolore per la morte del brigadiere dei carabinieri Carlo Legrottaglie, ucciso giovedì in uno scontro a fuoco. Ieri si sono svolti i funerali a Ostuni. Ancora pochi giorni di lavoro e sarebbe andato in pensione. Fino alla fine ha fatto il suo dovere. A lui va la riconoscenza degli italiani. A lui rendere onore. Ma non ci si dimentichi della sua famiglia. Non ci si dimentichi di chi ogni giorno rischia la vita per fare il proprio dovere e servire lo Stato. dt 

5. In carcere a 94 anni 

Un imprenditore e giornalista di 94 anni, in cella a Firenze perché condannato in via definitiva a 4 anni e 8 mesi per il crac finanziario di una casa editrice, è stato trasferito ai domiciliari da un nuovo magistrato di sorveglianza. Quello precedente non ne voleva proprio sapere. gd. 

6. Ergastoloi negli Stati Uniti

Negli Usa 200.000 ergastolani. Una città come Brescia tutta in galera. È questo il dato degli ergastolani negli Stati Uniti. Due terzi sono di colore. E questo la dice lunga: povertà, poca istruzione, lavoro precario sono alla base delle innumerevoli carcerazioni. Insieme a una giustizia propensa a dare sempre il massimo delle pene. gd

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