Settimanale di varia umanità carceraria C.C. di Monza Numero 18/25 4 maggio 2025 Terza domenica di Pasqua

 



E’ il Signore! Quando un sogno sembra svanire, si rimane male. Più si credeva in quel sogno, più l’amaro in bocca aumenta. A nessuno piace dover ammettere di aver fatto scelte sbagliate, di aver concesso fiducia a chi in fondo non meritava. E’ triste staccarsi, per qualsiasi motivo, da una persona amata, dopo aver condiviso anni di vita insieme. E’ devastante accorgersi che gli ideali, belli ed esaltanti, che hanno accompagnato la gioventù, non erano poi così belli ed esaltanti. Oppure accorgerci che, da quegli ideali, siamo noi che ci siamo allontanati. O anche, semplicemente, con il passare degli anni perdere la freschezza, la gioia e la speranza che almeno in qualche momento ne abbiamo goduto. Da qualche domenica la liturgia ci propone episodi dove le persone che incontriamo sembrano in situazioni di tristezza, di delusione, di nostalgia di un passato che aveva scaldato il loro cuore. Un passato custodito con riconoscenza ma che ora sembra non lasciare molte speranze. Alcuni discepoli, insieme a Pietro, dopo la morte e la risurrezione di Gesù, sembra abbiano ripreso la vita di prima. Io vado a pescare, dice Pietro, e tutti lo seguono. Di nuovo pescatori. Nella notte gettano le reti: ma la pesca è infruttuosa. Il sogno vissuto con Gesù sembra svanito, ora è necessario rientrare nella normalità. Ma il sogno vissuto era stato così vero e autentico che è stato sufficiente riviverlo per qualche istante, ascoltare parole conosciute e soprattutto incontrare e riconoscere quel Gesù che aveva cambiato le loro vite. E’ il Signore! disse Giovanni a Pietro, e per tutti la gioia fu incontenibile. Quell’incontro con Gesù risorto cambia di nuovo la loro vita, ancora una volta si fidano di Lui, pronti a seguirlo, abbandonando ciò che avevano scelto per continuare a vivere. In quel momento avevano capito che il sogno non era finito, che Gesù non li aveva prima illusi e poi delusi, che in Lui avrebbero trovato tutto ciò che all’uomo sta a cuore. Quell’abbondante pesca realizzata su indicazione di Gesù è un po’ il simbolo di quanto Gesù possa riempirci della sua grazia. Ciò che desideravano, qualche pesce per sopravvivere, lo ricevono in dono. Ciò che desideriamo nella vita, ciò che farà di noi uomini e donne realizzati e felici, sarà il dono ricevuto incontrando il Signore. dtiziano.

Carceri sempre più affollate
Pubblichiamo gli ultimi dati ufficiali (del 5 aprile) riguardanti la situazione delle carceri italiane, riportati dalla stampa. Nei 192 istituti penitenziari italiani, dove i posti disponibile di fatto sarebbero 46.808 (e non i 51.308 regolamentari, in quanto più di 4.500 celle sono inagibili) in questo momento si trovano rinchiusi 62.355 detenuti, tra l’altro in continuo aumento, con una media di sovraffollamento del 132%. Alcuni istituti hanno una media molto più alta e preoccupante: Milano-S. Vittore 218%, Foggia 211%, Lucca 205%, Brescia 201%. In questo carcere di Monza il numero dei detenuti, il giorno primo maggio c.a., era di 730 con 410 posti disponibili, con un indice di sovraffollamento del 178% Cittadinanza dei detenuti: 68,5% italiani e 31,5% stranieri. Numero dei ristretti in attesa del primo giudizio: 9.316 il 15% del totale. 42.765 i ristretti che stanno scontando una pena definitiva. I ristretti la cui condanna è inferiore ai tre anni sono 9.537 Tipologia dei reati compiti dai detenuti: contro il patrimonio 35.482; contro la persona 27.492; per leggi contro la droga 21.297. Dal primo gennaio all’otto aprile di quest’anno ci sono state 159 aggressioni, 3.050 atti di autolesionismo, 513 tentati suicidi e 25 suicidi (l’Osservatorio Orizzonti Ristretti afferma invece che siano 29). Insufficienza del personale: a fronte di un aumento considerevole del numero dei detenuti, che richiederebbe un aumento anche del personale, c’è invece una grave insufficienza. Mancano 3212 agenti e 733 impiegati amministrativi rispetto a quanti previsti dalla pianta organica.

Violenza a Monreale
Tre giovani uccisi in una sola sera di folle violenza, a Monreale, in Sicilia. Ha colpito molto questa strage, avvenuta per futili motivi, con estrema facilità e leggerezza nell’uso delle armi, per il dolore che ha generato. Ho paura che però sia solo la punta di un iceberg, l’episodio atroce di cui si è parlato ma che in realtà ci siano tanti altri episodi di violenza un po’ in tutta Italia, anche nei paesi più piccoli, che hanno creato dolore, insicurezza e paura (su questo stesso foglio abbiamo commentato l’assassinio di un giovane ad Abbiategrasso, una quindicina di giorni fa). Episodi che scatenano sentimenti di vendetta e desiderio di dura punizione dei colpevoli. Trovo molto interessanti le parole pronunciate dall’arcivescovo di Monreale, mons. Gualtiero Isacchi, durante la celebrazione funebre per i tre giovani assassinati. Le voglio offrire anche alla vostra riflessione. “Essere qui, davanti ai corpi senza vita di Andrea, Salvatore e Massimo, ci pone brutalmente di fronte alla gravità della situazione sociale nella quale siamo immersi, caratterizzata troppo spesso dalla violenza: non sappiamo più parlare, dobbiamo urlare; non sappiamo più dialogare, dobbiamo inveire; non sappiamo ascoltare, dobbiamo imporci … da qui, agli atti di violenza fisica e di morte il passo è veramente breve... Ma qui, di fronte a Dio, non ci accontentiamo della giustizia umana che 'è la ferma e costante volontà di dare a ciascuno ciò che gli spetta di diritto', noi cristiani chiediamo di più, chiediamo la giustizia di Dio che implica anche un nostro agire in conformità con la volontà di Dio, che è volontà di salvezza e di vita per tutti. Carissimi fratelli e sorelle, carissimi giovani, per noi cristiani domandare giustizia significa chiedere salvezza e vita per tutti, ma anche scegliere di essere noi stessi giusti, cioè 'promotori della giustizia divina' mostrando al mondo la vita buona del Vangelo che si oppone alla peste dell’ingiustizia che mostra violenza, degrado e solitudine"

Festa del Primo maggio Per molti Paesi al mondo il primo maggio è il giorno della Festa dei Lavoratori. Si ricordano le lotte, anche aspre, che in tante parti del mondo i lavoratori hanno combattuto per rivendicare dignità, per un lavoro che non degradasse e non uccidesse, un lavoro e un salario dignitosi per il proprio nucleo familiare. C’è ancora bisogno del primo maggio, di questa festa che ci deve far riflettere sul mondo del lavoro, sulla condizione dei lavoratori, soprattutto di coloro che non sono tutelati e stanno ai margini del sistema produttivo, sfruttati a piacere e senza diritti. Quest’anno l’attenzione si è concentrata particolarmente sulla piaga degli incidenti sul lavoro. Tutti d’accordo nell’affermare che non sia più accettabile (chiaro, e quando mai si poteva accettare questa piaga?) In un anno sono più di mezzo milione gli incidenti sul lavoro, e i morti sono stati più di mille. Si muore nei cantieri, nelle fabbriche, nei campi sotto il sole, per strada, con una media di tre tragedie al giorno. E’ troppo sperare che su una questione come questa dovrebbero convergere tutte le forze politiche, sociali e sindacali, in una sincera ricerca di interventi capaci di limitare il più possibile questa piaga, lasciando stare i soliti interessi di parte? E’ troppo chiedere a piccoli e grandi imprenditori il rispetto per le norme di sicurezza e di non lesinare sui costi, perché si tratta della vita dei lavoratori? Anche la gente comune dovrebbe fare qualcosa: il primo maggio non è solo un piacevole giorno di festa, l’occasione per una scampagnata o per allungare il ponte iniziato il 25 aprile, magari senza neanche sapere cosa si festeggi. dt.


Ri(flessioni). 

1. I frutti della guerra La giornalista ucraina Viktoriia Roshchyna, 27 anni, nell’estate 2023 è stata sequestrata e seviziata dai russi per mesi, fino alla morte. Il corpo mostrava segni evidenti delle torture subite; cervello, occhi e laringe sono stati asportate. Altri 30 giornalisti sono detenuti nelle prigioni russe. Ad oggi sono 16 i giornalisti ucraini uccisi, di cui 6 donne. Questi orrori non fanno altro che confermare quanto la guerra sia una pazzia che produce solamente frutti avvelenati.

2. I duraturi frutti delle guerre. Sono passati ottant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale e qualche frutto velenoso ancora ci presenta il conto. A Moglia (880 abitanti), una frazione di Sermide, in provincia di Mantova, durante alcuni lavori è stata scoperta, e purtroppo urtata, una potente bomba inesplosa. Ora si rende necessario evacuare fino al sei maggio gli abitanti della frazione per permettere di effettuare in sicurezza le operazioni di bonifica. Le guerre non terminano con una vittoria, con una sconfitta, con dei negoziati: producono frutti velenosi e duraturi. 

3. Guerre: solo frutti velenosi e duraturi Quali saranno i frutti velenosi di cui si stanno gettando i semi nei numerosi conflitti in corso? Che ne sarà di Gaza, dell’Ucraina, come vivranno le nuove generazioni che crescono tra guerre, ingiustizie e sostanziale indifferenza?

4. Criminalizzare la solidarietà Non si capisce se si tratti di giusto rispetto delle leggi o accanimento pretestuoso. Nel 2024, almeno 142 volontari e difensori dei diritti umani hanno affrontato procedimenti giudiziari in un Paese europeo per aver in qualche modo soccorso migranti in difficoltà. Per aver acquistato e donato biglietti del treno per un gruppo di rifugiati siriani; per aver fornito acqua, cibo e un passaggio fuori dalla foresta a una famiglia irachena con sette figli. E’ triste ma è così: in Europa, e non solo, si rischia l’incriminazione per un gesto di solidarietà. Con tanto di ipocrisia: incriminati perché accusati di traffico di migranti, o per aver favorito l’ingresso illegale. E’ vero che quasi tutti i procedimenti giudiziari finiscono in nulla, ma il tentativo rimane. Una civiltà che sta morendo. 

5. Il momento della pietà Catania: una mamma, fortemente depressa, ha gettato la figlia di sette mesi dalla finestra del terzo piano. Era seguita dalle strutture sanitarie locali, e non è stata lasciata sola. Ora, con il cuore spezzato, è il momento della pietà per la bambina, per la madre, per il padre, per i parenti e anche per la comunità dove è avvenuta la tragedia. dt

Commenti

Post popolari in questo blog

Gianni, ex detenuto della Casa Circondariale di Monza, e la Formula 1

LE OTTO MONTAGNE di Paolo Cognetti - recensione