
E’ il Signore! Quando
un sogno sembra svanire, si rimane male. Più si credeva in quel sogno, più
l’amaro in bocca aumenta. A nessuno piace dover ammettere di aver fatto scelte
sbagliate, di aver concesso fiducia a chi in fondo non meritava. E’ triste
staccarsi, per qualsiasi motivo, da una persona amata, dopo aver condiviso anni
di vita insieme. E’ devastante accorgersi che gli ideali, belli ed esaltanti,
che hanno accompagnato la gioventù, non erano poi così belli ed esaltanti.
Oppure accorgerci che, da quegli ideali, siamo noi che ci siamo allontanati. O
anche, semplicemente, con il passare degli anni perdere la freschezza, la gioia
e la speranza che almeno in qualche momento ne abbiamo goduto. Da qualche
domenica la liturgia ci propone episodi dove le persone che incontriamo
sembrano in situazioni di tristezza, di delusione, di nostalgia di un passato
che aveva scaldato il loro cuore. Un passato custodito con riconoscenza ma che
ora sembra non lasciare molte speranze. Alcuni discepoli, insieme a Pietro,
dopo la morte e la risurrezione di Gesù, sembra abbiano ripreso la vita di
prima. Io vado a pescare, dice Pietro, e tutti lo seguono. Di nuovo
pescatori. Nella notte gettano le reti: ma la pesca è infruttuosa. Il sogno
vissuto con Gesù sembra svanito, ora è necessario rientrare nella normalità. Ma
il sogno vissuto era stato così vero e autentico che è stato sufficiente
riviverlo per qualche istante, ascoltare parole conosciute e soprattutto
incontrare e riconoscere quel Gesù che aveva cambiato le loro vite. E’ il
Signore! disse Giovanni a Pietro, e per tutti la gioia fu incontenibile.
Quell’incontro con Gesù risorto cambia di nuovo la loro vita, ancora una volta
si fidano di Lui, pronti a seguirlo, abbandonando ciò che avevano scelto per
continuare a vivere. In quel momento avevano capito che il sogno non era
finito, che Gesù non li aveva prima illusi e poi delusi, che in Lui avrebbero
trovato tutto ciò che all’uomo sta a cuore. Quell’abbondante pesca realizzata
su indicazione di Gesù è un po’ il simbolo di quanto Gesù possa riempirci della
sua grazia. Ciò che desideravano, qualche pesce per sopravvivere, lo ricevono in
dono. Ciò che desideriamo nella vita, ciò che farà di noi uomini e donne
realizzati e felici, sarà il dono ricevuto incontrando il Signore. dtiziano.
Carceri sempre più affollate
Pubblichiamo gli
ultimi dati ufficiali (del 5 aprile) riguardanti la situazione delle carceri
italiane, riportati dalla stampa. Nei 192 istituti penitenziari italiani, dove
i posti disponibile di fatto sarebbero 46.808 (e non i 51.308 regolamentari, in
quanto più di 4.500 celle sono inagibili) in questo momento si trovano
rinchiusi 62.355 detenuti, tra l’altro in continuo aumento, con una media di
sovraffollamento del 132%. Alcuni istituti hanno una media molto più alta e
preoccupante: Milano-S. Vittore 218%, Foggia 211%, Lucca 205%, Brescia 201%. In
questo carcere di Monza il numero dei detenuti, il giorno primo maggio c.a.,
era di 730 con 410 posti disponibili, con un indice di sovraffollamento del
178% Cittadinanza dei detenuti: 68,5% italiani e 31,5% stranieri. Numero dei
ristretti in attesa del primo giudizio: 9.316 il 15% del totale. 42.765 i
ristretti che stanno scontando una pena definitiva. I ristretti la cui condanna
è inferiore ai tre anni sono 9.537 Tipologia dei
reati compiti dai detenuti: contro il patrimonio 35.482; contro la persona
27.492; per leggi contro la droga 21.297. Dal primo gennaio all’otto aprile di
quest’anno ci sono state 159 aggressioni, 3.050 atti di autolesionismo, 513
tentati suicidi e 25 suicidi (l’Osservatorio Orizzonti Ristretti afferma invece
che siano 29). Insufficienza del personale: a fronte di un aumento
considerevole del numero dei detenuti, che richiederebbe un aumento anche del
personale, c’è invece una grave insufficienza. Mancano 3212 agenti e 733
impiegati amministrativi rispetto a quanti previsti dalla pianta organica.
Violenza a
Monreale
Tre giovani
uccisi in una sola sera di folle violenza, a Monreale, in Sicilia. Ha colpito
molto questa strage, avvenuta per futili motivi, con estrema facilità e
leggerezza nell’uso delle armi, per il dolore che ha generato. Ho paura che
però sia solo la punta di un iceberg, l’episodio atroce di cui si è parlato ma
che in realtà ci siano tanti altri episodi di violenza un po’ in tutta Italia,
anche nei paesi più piccoli, che hanno creato dolore, insicurezza e paura (su
questo stesso foglio abbiamo commentato l’assassinio di un giovane ad
Abbiategrasso, una quindicina di giorni fa). Episodi che scatenano sentimenti
di vendetta e desiderio di dura punizione dei colpevoli. Trovo molto
interessanti le parole pronunciate dall’arcivescovo di Monreale, mons. Gualtiero
Isacchi, durante la celebrazione funebre per i tre giovani assassinati. Le
voglio offrire anche alla vostra riflessione. “Essere qui, davanti ai corpi
senza vita di Andrea, Salvatore e Massimo, ci pone brutalmente di fronte alla
gravità della situazione sociale nella quale siamo immersi, caratterizzata
troppo spesso dalla violenza: non sappiamo più parlare, dobbiamo urlare; non
sappiamo più dialogare, dobbiamo inveire; non sappiamo
ascoltare, dobbiamo imporci … da qui, agli atti di violenza fisica e di morte
il passo è veramente breve... Ma
qui, di fronte a Dio, non ci accontentiamo della giustizia umana che 'è la
ferma e costante volontà di dare a ciascuno ciò che gli spetta di diritto', noi
cristiani chiediamo di più, chiediamo la giustizia di Dio che implica anche un
nostro agire in conformità con la volontà di Dio, che è volontà di salvezza e
di vita per tutti. Carissimi fratelli e sorelle, carissimi giovani, per noi
cristiani domandare giustizia significa chiedere salvezza e vita per tutti, ma
anche scegliere di essere noi stessi giusti, cioè 'promotori della giustizia
divina' mostrando al mondo la vita buona del Vangelo che si oppone alla peste
dell’ingiustizia che mostra violenza, degrado e solitudine".
Festa
del Primo maggio Per
molti Paesi al mondo il primo maggio è il giorno della Festa dei Lavoratori. Si
ricordano le lotte, anche aspre, che in tante parti del mondo i lavoratori
hanno combattuto per rivendicare dignità, per un lavoro che non degradasse e non
uccidesse, un lavoro e un salario dignitosi per il proprio nucleo familiare.
C’è ancora bisogno del primo maggio, di questa festa che ci deve far riflettere
sul mondo del lavoro, sulla condizione dei lavoratori, soprattutto di coloro
che non sono tutelati e stanno ai margini del sistema produttivo, sfruttati a
piacere e senza diritti. Quest’anno l’attenzione si è concentrata
particolarmente sulla piaga degli incidenti sul lavoro. Tutti d’accordo
nell’affermare che non sia più accettabile (chiaro, e quando mai si poteva
accettare questa piaga?) In un anno sono più di mezzo milione gli incidenti sul lavoro, e
i morti sono stati più di mille. Si muore nei cantieri, nelle fabbriche, nei
campi sotto il sole, per strada, con una media di tre tragedie al giorno. E’
troppo sperare che su una questione come questa dovrebbero convergere tutte le
forze politiche, sociali e sindacali, in una sincera ricerca di interventi
capaci di limitare il più possibile questa piaga, lasciando stare i soliti
interessi di parte? E’ troppo chiedere a piccoli e grandi imprenditori il
rispetto per le norme di sicurezza e di non lesinare sui costi, perché si
tratta della vita dei lavoratori? Anche la gente comune dovrebbe fare qualcosa:
il primo maggio non è solo un piacevole giorno di festa, l’occasione per una
scampagnata o per allungare il ponte iniziato il 25 aprile, magari senza
neanche sapere cosa si festeggi. dt.
Ri(flessioni).
1. I frutti della guerra La giornalista ucraina Viktoriia
Roshchyna, 27 anni, nell’estate 2023 è stata sequestrata e seviziata dai russi
per mesi, fino alla morte. Il corpo mostrava segni evidenti delle torture
subite; cervello, occhi e laringe sono stati asportate. Altri 30 giornalisti sono detenuti nelle
prigioni russe. Ad oggi sono 16 i giornalisti ucraini uccisi, di cui 6 donne.
Questi orrori non fanno altro che confermare quanto la guerra sia una pazzia
che produce solamente frutti avvelenati.
2. I duraturi frutti delle guerre. Sono passati ottant’anni dalla fine della seconda guerra
mondiale e qualche frutto velenoso ancora ci presenta il conto. A Moglia (880
abitanti), una frazione di Sermide, in provincia di Mantova, durante alcuni
lavori è stata scoperta, e purtroppo urtata, una potente bomba inesplosa. Ora
si rende necessario evacuare fino al sei maggio gli abitanti della frazione per
permettere di effettuare in sicurezza le operazioni di bonifica. Le guerre non
terminano con una vittoria, con una sconfitta, con dei negoziati: producono
frutti velenosi e duraturi.
3. Guerre: solo frutti velenosi e duraturi Quali
saranno i frutti velenosi di cui si stanno gettando i semi nei numerosi
conflitti in corso? Che ne sarà di Gaza, dell’Ucraina, come vivranno le nuove
generazioni che crescono tra guerre, ingiustizie e sostanziale indifferenza?
4.
Criminalizzare la solidarietà Non si capisce se si tratti di giusto rispetto delle leggi o
accanimento pretestuoso. Nel 2024, almeno 142 volontari e difensori dei diritti
umani hanno affrontato procedimenti giudiziari in un Paese europeo per aver in
qualche modo soccorso migranti in difficoltà. Per aver acquistato e donato
biglietti del treno per un gruppo di rifugiati siriani; per aver fornito acqua,
cibo e un passaggio fuori dalla foresta a una famiglia irachena con sette
figli. E’ triste ma è così: in Europa, e non solo, si rischia l’incriminazione
per un gesto di solidarietà. Con tanto di ipocrisia: incriminati perché
accusati di traffico di migranti, o per aver favorito l’ingresso illegale. E’
vero che quasi tutti i procedimenti giudiziari finiscono in nulla, ma il
tentativo rimane. Una civiltà che sta morendo.
5. Il momento della pietà Catania: una mamma, fortemente
depressa, ha gettato la figlia di sette mesi dalla finestra del terzo piano.
Era seguita dalle strutture sanitarie locali, e non è stata lasciata sola. Ora,
con il cuore spezzato, è il momento della pietà per la bambina, per la madre,
per il padre, per i parenti e anche per la comunità dove è avvenuta la
tragedia. dt
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