Numero 23 – 13 ottobre 2024 XXVIII domenica Tempo Ordinario - Settimanale di varia umanità carceraria C.C.di Monza
Giuoco
d’azzardo: lo Stato prima riscuote, poi punisce Avvenire
di domenica scorsa riportava la notizia choc che gli altri organi di
informazione hanno lasciato pressoché velata. Nel 2023, il volume totale dei
giochi d’azzardo ha superato la cifra di 150 miliardi di euro. Quaranta in più
rispetto al 2019, l’anno che ha preceduto il biennio del Covid. Nell’online, il
balzo è stato con cifre iperboliche: dai 36 miliardi di euro, alla vigilia
della pandemia, a oltre il doppio, ovvero 85. Davanti a un valore numerico
tanto assurdo, gran parte delle persone colte e dell’opinione pubblica non ne
rilevano le implicazioni elementari. Vi è, direbbe Leonardo Sciascia, un
«eccesso di evidenza». E perciò la realtà rimane invisibile, pur presentando
dimensioni assurde. I “malati” del gioco sono stimati in un milione e mezzo,
mentre sono 5,1 milioni i consumatori abitudinari. Questa massa di “giocatori”
comporta conseguenze concrete: ludopatie, dissesti familiari, devianze
minorili, conflitti nelle famiglie, delinquenza collegata e recidivante. In
tema di gioco d’azzardo così come si dovrebbe dire anche per il tabacco, il
monopolio fiscale dello Stato è stabilito per contenere le condotte e non per
stimolarle! Da un lato invece lo Stato non solo acconsente allo sviluppo del
gioco (oltre 1600 miliardi di euro di giro d’affari nel decennio 2014-2023) ma
è cointeressato a che i canali di diffusione di scommesse, giochi e giochini,
gratta e grattini siano sempre più capillari e pervasivi; dall’altro lato, lo
Stato punisce i giocatori ludopatici, specialmente se soggetti a comportamenti
criminali complessi (varie tipologie di reati per un medesimo disegno),
mettendoli in galera, dove poi è evidente l’inadeguatezza dell’offerta
trattamentale e di una carcerazione che acutizza i problemi anziché risolverli.
en.
Le riflessioni di un detenuto dopo il primo permesso E’ solo un cancello automatico quello che attraversai sei anni fa per entrare dentro le mura più alte mai viste. Mentre lo si attraversa bisogna lasciare fuori ogni speranza e progetto per il futuro, ma oggi, dopo tutto sto tempo, lo sto riattraversando per la prima volta, per uscire. Ho sentito dire che ci si sente persi uscire dopo tanto tempo. Del resto non è facile abituarsi alla luce dopo tanti anni di grigio. Poi ci sono i rumori, i colori, gli odori e tutte quelle cose che bisogna imparare a fare senza. Già, perché qua dentro regna un silenzio totale che viene spezzato solo dalle grosse chiavi di ottone che aprono e chiudono le celle. Per un istante mi chiedo se sarò in grado a non sentirmi perso in un mondo che non vedo da tempo, ma scaccio subito dalla testa quei pensieri. Ho un permesso di sole sei ore e un obbiettivo preciso in testa. Sei anni fa, entrando da quel cancello, non lasciai fuori solo le speranze e i progetti, ma anche una compagna all’ultimo mese di gravidanza. Oggi mio figlio ha quasi sei anni e per la prima volta vedrà suo padre in un ambiente “normale”. Per la prima volta non dovrà percorrere chilometri, subire perquisizioni ed essere chiuso in una così detta “saletta colloqui familiari” per stare ora con il suo papà. Oggi sarà un bambino normale con un padre normale che gira per i negozi di un centro commerciale. Abbiamo scelto un centro commerciale per non perdere neanche un secondo di quelle sei ore, per poter fare tutte quelle cose che non abbiamo mai potuto fare. Cose come mangiare un gelato, la pizza o comprare dei regalini che per tutto il mondo sono cose normalissime, ma non per noi due. Un’altra cosa non normale è il fatto di sentirmi perso dentro quel centro commerciale che conoscevo a memoria. Farsi prendere per mano da mio figlio, che si offre a farmi da guida e mi trascina per i negozi. Ovviamente mi trascina solo nei negozi dei giocattoli, ma a me oggi va bene così. Tanto i permessi servono a questo. Coltivare gli affetti familiari, e oggi mio figlio sembra il bambino più felice del mondo. Nella vita che avevo scelto gli errori erano tanti e le cose belle poche. Ora, le due cose più belle in assoluto: la sua nascita sei anni fa e il mio primo permesso oggi. Hyseni Ergys
Ri(flessioni). 1. Suicidi in carcere Con l’ultimo suicidio di venerdì nel carcere di San Vittore sono ormai 75 dall’inizio dell’anno. Si tratta di un uomo, pugliese, di 44 anni. Le istituzioni non riescono, o non sono all’altezza, a prendere decisioni efficaci per contrastare questa piaga. In realtà solo una delle tante che ci sono nelle carceri. I suicidi sono la prima causa di morte nelle carceri italiane.
2. Giornata Mondiale
della salute mentale Venerdì 10
ottobre era la Giornata Mondiale della salute mentale: un’occasione per
renderci conto di un’emergenza sanitaria e sociale sempre più allarmante. Due
milioni di italiani non ricevono cure adeguate. Un’emergenza che richiede
risposte immediate, risorse adeguate, e che non dimentichi nessuno, neanche i
numerosi reclusi che soffrono di patologie psichiatriche. Che non dovrebbero
stare in carcere.
3. Disagio psichico Ansia, depressione, disturbi comportamentali e dell’alimentazione: situazioni sempre più diffuse, anche tra i più giovani e gli anziani. Da non sottovalutare. Oltre a rendere la vita quasi insopportabile a chi ne è colpito possono sfociare in gesti estremi verso se stessi e verso gli altri.
4. Sammy Basso: Inno alla vita Conoscevamo Sammy Basso, il giovane affetto da progeria, una malattia che porta a un invecchiamento precoce e quindi alla morte. Aveva solo 27 anni. Ha saputo vivere in pienezza la vita lasciando uno scritto, letto durante il funerale, pieno di amore un vero Inno alla vita. Voglio che sappiate innanzitutto che ho vissuto la mia vita felicemente, senza eccezioni, e l’ho vissuta da semplice uomo, con i momenti di gioia e i momenti difficili, con la voglia di fare bene, riuscendoci a volte e a volte fallendo miseramente... Non so il perché e il come me ne andrò da questo mondo, sicuramente in molti diranno che ho perso la mia battaglia contro la malattia. Non ascoltate! Non c’è mai stata nessuna battaglia da combattere, c’è solo stata una vita da abbracciare com’era, con le sue difficoltà, ma pur sempre splendida, pur sempre fantastica, né premio né condanna semplicemente un dono che mi è stato dato da Dio.
5 Il Nobel per la pace Quest’anno il Nobel per la pace è stato assegnato
all’associazione Nihon Hidankyo formata dai superstiti, gli hibakusha, di Hiroshima e Nagasaki. L’intento è di mettere in
guarda la Comunità internazionale dal minacciare l’uso delle armi nucleari.
Sarebbe una sconfitta per tutti. Gli hibakusha sono la testimonianza vivente
degli orrori della guerra, soprattutto se si dovesse far ricorso alle armi
nucleari. dt.
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