Numero 23 – 13 ottobre 2024 XXVIII domenica Tempo Ordinario - Settimanale di varia umanità carceraria C.C.di Monza

 


Vieni! E seguimi!
Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna? Un tale, nel vangelo di oggi, pose questa domanda a Gesù. La risposta fu: Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, avrai un tesoro in cielo; e vieni! E seguimi! Quel tale, forse un giovane in ricerca, si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Eppure Gesù lo aveva accolto con tanta simpatia, desiderava farne un suo compagno di viaggio: fissò lo sguardo su di lui e lo amò. In questo caso l’amore sembra non aver fatto il miracolo. Il risultato della scelta fatta dal giovane è stata la tristezza. Non era stato rimproverato, Gesù continuò ad amarlo, lo portò nel cuore. Quel tale, invece, probabilmente provò rimpianto per il coraggio mancato, per non aver ascoltato ciò che gli suggeriva il cuore, per non essere riuscito a spezzare le catene che lo rendevano prigioniero della ricchezza. Se provò tristezza è perché aveva intuito che in Gesù c’era qualcosa di grande, di bello, di inedito. E’ il rattristarsi di chi percepisce la bellezza di una cosa scoperta, ma per un qualsiasi motivo non trova il coraggio di accoglierla nella propria vita. Qualcosa di grande scoperto ma non al punto di lasciare ciò che impedisce l’accoglienza. E’ un prendere atto della propria debolezza. Da qui la tristezza. Possiamo dire che il giovane vide bene, e con chiarezza, ciò che doveva lasciare, cioè la ricchezza che possedeva, ma non vide bene e con chiarezza ciò che invece avrebbe trovato, cioè la persona stessa di Gesù che si era proposto come compagno di viaggio. Quel giovane aveva perso l’occasione della vita, quella che si presenta una sola volta. Di lui, nel vangelo, non si dice più nulla. Spero che ciascuno di noi faccia, prima o poi, l’esperienza della tristezza. La tristezza di aver perso le occasioni per compiere qualcosa buono, per non aver ascoltato lo spirito che agisce nei cristiani e fa scaturire il meglio di noi stessi, la tristezza per non aver avuto il coraggio di compiere quelle scelte che ci avrebbero liberato dalle mille schiavitù che ci rovinano. Vieni e seguimi Gesù lo dice tante volte ancora oggi, e lo dice a ciascuno di noi offrendoci una pienezza di vita, un cammino che percorreremo insieme a Lui. dtiziano.




Giuoco d’azzardo: lo Stato prima riscuote, poi punisce Avvenire di domenica scorsa riportava la notizia choc che gli altri organi di informazione hanno lasciato pressoché velata. Nel 2023, il volume totale dei giochi d’azzardo ha superato la cifra di 150 miliardi di euro. Quaranta in più rispetto al 2019, l’anno che ha preceduto il biennio del Covid. Nell’online, il balzo è stato con cifre iperboliche: dai 36 miliardi di euro, alla vigilia della pandemia, a oltre il doppio, ovvero 85. Davanti a un valore numerico tanto assurdo, gran parte delle persone colte e dell’opinione pubblica non ne rilevano le implicazioni elementari. Vi è, direbbe Leonardo Sciascia, un «eccesso di evidenza». E perciò la realtà rimane invisibile, pur presentando dimensioni assurde. I “malati” del gioco sono stimati in un milione e mezzo, mentre sono 5,1 milioni i consumatori abitudinari. Questa massa di “giocatori” comporta conseguenze concrete: ludopatie, dissesti familiari, devianze minorili, conflitti nelle famiglie, delinquenza collegata e recidivante. In tema di gioco d’azzardo così come si dovrebbe dire anche per il tabacco, il monopolio fiscale dello Stato è stabilito per contenere le condotte e non per stimolarle! Da un lato invece lo Stato non solo acconsente allo sviluppo del gioco (oltre 1600 miliardi di euro di giro d’affari nel decennio 2014-2023) ma è cointeressato a che i canali di diffusione di scommesse, giochi e giochini, gratta e grattini siano sempre più capillari e pervasivi; dall’altro lato, lo Stato punisce i giocatori ludopatici, specialmente se soggetti a comportamenti criminali complessi (varie tipologie di reati per un medesimo disegno), mettendoli in galera, dove poi è evidente l’inadeguatezza dell’offerta trattamentale e di una carcerazione che acutizza i problemi anziché risolverli. en.


Le riflessioni di un detenuto dopo il primo permesso E’ solo un cancello automatico quello che attraversai sei anni fa per entrare dentro le mura più alte mai viste. Mentre lo si attraversa bisogna lasciare fuori ogni speranza e progetto per il futuro, ma oggi, dopo tutto sto tempo, lo sto riattraversando per la prima volta, per uscire. Ho sentito dire che ci si sente persi uscire dopo tanto tempo. Del resto non è facile abituarsi alla luce dopo tanti anni di grigio. Poi ci sono i rumori, i colori, gli odori e tutte quelle cose che bisogna imparare a fare senza. Già, perché qua dentro regna un silenzio totale che viene spezzato solo dalle grosse chiavi di ottone che aprono e chiudono le celle. Per un istante mi chiedo se sarò in grado a non sentirmi perso in un mondo che non vedo da tempo, ma scaccio subito dalla testa quei pensieri. Ho un permesso di sole sei ore e un obbiettivo preciso in testa. Sei anni fa, entrando da quel cancello, non lasciai fuori solo le speranze e i progetti, ma anche una compagna all’ultimo mese di gravidanza. Oggi mio figlio ha quasi sei anni e per la prima volta vedrà suo padre in un ambiente “normale”. Per la prima volta non dovrà percorrere chilometri, subire perquisizioni ed essere chiuso in una così detta “saletta colloqui familiari” per stare ora con il suo papà. Oggi sarà un bambino normale con un padre normale che gira per i negozi di un centro commerciale. Abbiamo scelto un centro commerciale per non perdere neanche un secondo di quelle sei ore, per poter fare tutte quelle cose che non abbiamo mai potuto fare. Cose come mangiare un gelato, la pizza o comprare dei regalini che per tutto il mondo sono cose normalissime, ma non per noi due. Un’altra cosa non normale è il fatto di sentirmi perso dentro quel centro commerciale che conoscevo a memoria. Farsi prendere per mano da mio figlio, che si offre a farmi da guida e mi trascina per i negozi. Ovviamente mi trascina solo nei negozi dei giocattoli, ma a me oggi va bene così. Tanto i permessi servono a questo. Coltivare gli affetti familiari, e oggi mio figlio sembra il bambino più felice del mondo. Nella vita che avevo scelto gli errori erano tanti e le cose belle poche. Ora, le due cose più belle in assoluto: la sua nascita sei anni fa e il mio primo permesso oggi. Hyseni Ergys

Ri(flessioni). 1. Suicidi in carcere Con l’ultimo suicidio di venerdì nel carcere di San Vittore sono ormai 75 dall’inizio dell’anno. Si tratta di un uomo, pugliese, di 44 anni. Le istituzioni non riescono, o non sono all’altezza, a prendere decisioni efficaci per contrastare questa piaga. In realtà solo una delle tante che ci sono nelle carceri. I suicidi sono la prima causa di morte nelle carceri italiane.

2. Giornata Mondiale della salute mentale Venerdì 10 ottobre era la Giornata Mondiale della salute mentale: un’occasione per renderci conto di un’emergenza sanitaria e sociale sempre più allarmante. Due milioni di italiani non ricevono cure adeguate. Un’emergenza che richiede risposte immediate, risorse adeguate, e che non dimentichi nessuno, neanche i numerosi reclusi che soffrono di patologie psichiatriche. Che non dovrebbero stare in carcere.

3. Disagio psichico Ansia, depressione, disturbi comportamentali e dell’alimentazione: situazioni sempre più diffuse, anche tra i più giovani e gli anziani. Da non sottovalutare. Oltre a rendere la vita quasi insopportabile a chi ne è colpito possono sfociare in gesti estremi verso se stessi e verso gli altri.

4. Sammy Basso: Inno alla vita Conoscevamo Sammy Basso, il giovane affetto da progeria, una malattia che porta a un invecchiamento precoce e quindi alla morte. Aveva solo 27 anni. Ha saputo vivere in pienezza la vita lasciando uno scritto, letto durante il funerale, pieno di amore un vero Inno alla vita. Voglio che sappiate innanzitutto che ho vissuto la mia vita felicemente, senza eccezioni, e l’ho vissuta da semplice uomo, con i momenti di gioia e i momenti difficili, con la voglia di fare bene, riuscendoci a volte e a volte fallendo miseramente... Non so il perché e il come me ne andrò da questo mondo, sicuramente in molti diranno che ho perso la mia battaglia contro la malattia. Non ascoltate! Non c’è mai stata nessuna battaglia da combattere, c’è solo stata una vita da abbracciare com’era, con le sue difficoltà, ma pur sempre splendida, pur sempre fantastica, né premio né condanna semplicemente un dono che mi è stato dato da Dio.

5 Il Nobel per la pace Quest’anno il Nobel per la pace è stato assegnato all’associazione Nihon Hidankyo formata dai superstiti, gli hibakusha, di Hiroshima e Nagasaki. L’intento è di mettere in guarda la Comunità internazionale dal minacciare l’uso delle armi nucleari. Sarebbe una sconfitta per tutti. Gli hibakusha sono la testimonianza vivente degli orrori della guerra, soprattutto se si dovesse far ricorso alle armi nucleari. dt.


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