Numero 18 – 8 settembre 2024 XXIII - Tempo Ordinario. Settimanale di varia umanità carceraria CC di Monza

 

 


Effatà, cioè: Apriti

Tre frasi che troviamo nelle letture di questa domenica. Libro del profeta Isaia: Dite agli smarriti di cuore: Coraggio non temete, ecco il vostro Dio, egli viene a salvarvi. Lettera di San Giacomo apostolo: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo? Vangelo di San Marco: Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano: Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli tocco la lingua: Effatà, cioè Apriti. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. Queste frasi mettono in evidenza quell’attenzione, quella sollecitudine che Dio ha per ogni uomo, in particolare per il povero. Non dobbiamo mai stancarci ricordare questa preferenza di Dio, la sua preoccupazione per l’uomo, un Dio che non è estraneo a nessuno. Senza questa certezza la nostra vita, la vita di chi sta soffrendo, la vita di quei popoli che sono in un modo o nell’altro in guerra, o patiscono la fame, sarebbe davvero senza speranza. L’uomo deve sapere che almeno Dio non si scorda mai di lui. Sicuramente facciamo fatica a credere in questa vicinanza, oppure ci crediamo ma non riusciamo a capire come il Signore ci ami, in che modo il Signore si preoccupi di noi. E così ammettiamo di non conoscere il modo di agire di Dio, e diciamo che Dio ci ama anche nel mistero del dolore. In realtà ci rendiamo conto di quella grande distanza che c’è tra Dio e noi, tra il suo e il nostro modo di vedere le cose, ci sta la nostra fatica a comprendere e aderire al suo modo di pensare. Anche, purtroppo, la tentazione di piegare Dio alla nostra volontà. Del resto ci vuole una grande fede per credere che Dio è sempre vicino all’uomo. Ed è difficile soprattutto per chi ora, in questo momento, è nel dolore, nella malattia, per chi muore di fame. Non deve essere facile sentire ciò che, sempre oggi, dice il vangelo: Gesù ha fatto bene ogni cosa. Questa bontà delle cose non la si vede sempre, non la si sperimenta, anzi siamo più portati a pensare all’imperfezione che ci circonda e non alla bontà e alla bellezza. Eppure è proprio perché ci sono ancora tante situazioni difficili, dove manca la bontà e la bellezza, che la parola di Dio si fa ancora più importante e necessaria, perché diventa proclamazione di una verità schiacciata, contestazione di una situazione ingiusta, forza per superare l’errore e speranza che il disegno di Dio si realizzerà. Che potrà avvenire se ciascuno di noi farà la sua parte. dtiziano.

Anno Santo 2025 - Un anno di speranza per il futuro

Negli ultimi due mesi abbiamo pubblicato diversi articoli per conoscere meglio il significato dell’Anno Santo indetto dal Papa. Un detenuto desidera condividere con tutti noi queste sue riflessioni. “Cristo ieri e oggi: Fine e Principio, Alfa e Omega, a Lui la gloria nei secoli”. L’apertura della Porta Santa è un momento magico che unisce il mondo della fede al mondo terreno. Queste parole pronuncerà il Papa varcando la Porta santa. E’ sinonimo di grazia e perdono, è il momento in cui gli uomini, attraversandola, redimeranno le proprie anime offrendo il perdono per tutti i peccati. Il Papa quest’anno non solo riaprirà la Porta Santa alla Basilica di San Pietro a Roma, ma ne aprirà una anche in carcere. Questo gesto segnerà sicuramente un intervento importante di un Papa nella realtà terrena, fatta di uomini e donne, fatta di persone che sbagliano e pagano, di padri e di madri che commettono errori, di persone che come tali sbagliano! Si può sbagliare per ignoranza, si può sbagliare per avidità, si può sbagliare per necessità e talvolta anche per gioco, e questo inevitabilmente comporta delle conseguenze. Ma se si sbaglia e si entra in cella per scontare la pena – quale risarcimento sociale che tende alla rieducazione, alla consapevolezza di aver causato un danno – cosa solleverà lo spirito? In che modo quella pena sarà redenzione? Il Papa lancia un messaggio meraviglioso quando chiede la grazia e il perdono anche per i carcerati, lui sa bene che la migliore forma di rieducazione è la speranza, è dare a chi pensa di aver perduto tutto. Il Papa non sta dicendo “liberi tutti”, sta aprendo a interventi di speranza per il futuro, e di fiducia nel prossimo. Lasciate che tutti trovino il loro “Grande Perché” fuori dalle sbarre, perché solo così si capirà quanto valore abbia la libertà e tutti saranno portati a riflettere prima di compiere qualsiasi azione. Non deve suscitare scalpore e riprovazione all’opinione pubblica che un condannato possa tornare libero, non deve sembrare la concessione di una grazia o di un perdono che stridono con la giustizia, al contrario deve aprire i cuori al perdono e alla coscienza che l’amore genera amore mentre l’odio genera solo odio. Chi oltrepasserà la Porta santa dovrà passare con il capo chino, in segno di umiltà e volontà di redimere i propri peccati, con il cuore pronto a svuotarsi delle effimere gioie terrene e desideroso di aprirsi alla speranza. Il Giubileo deve essere visto come Finis e Principium, come la fine della vecchia e l’inizio di una nuova vita, come la rinascita di un uomo nuovo. mg.

Caro fratello Youssef Barsom

Aveva solo diciotto anni Youssef Barsom. Nella notte tra giovedì e venerdì è morto in una cella del carcere di San Vittore a Milano, in seguito a un incendio, probabilmente appiccato dai due occupanti la cella (dinamica esatta da stabilire). Ma perché in cella? Youssef aveva commesso dei reati, certo, ma era una ragazzo giovanissimo, appena maggiorenne, con tanti problemi. Due perizie psichiatriche avevano dichiarato che Youssef soffriva di gravi fragilità psichiche e con “vizio totale di mente”. Per lui si sarebbero dovute aprire le porte non di una prigione ma di un ambiente capace di prenderlo in carico, medici competenti e misericordiosi per accompagnarlo il più possibile verso la guarigione, non un peso di cui sbarazzarsi più in fretta possibile ma un fratello più bisognoso di altri ma per questo proprio da amare ancora di più. Una storia triste e piena di dolore quella di Youssef, anche se la sua vita è durata troppo poco. Arrivato in Italia ancora minorenne, dopo aver attraversato l’inferno dei lager libici, abusato, costretto a condizioni vita umilianti, non ha trovato gran che neanche in Italia. Caro fratello Youssef ti voglio bene. Ora vai dal tuo Dio, Lui sì che saprà volerti bene, e per sempre. dt.

Don Dante Carraro: italiano, prete, missionario, cardiologo

Da tanti anni don Dante svolge la missione di sacerdote e medico in Africa. Interessante l’intervista riportata dal giornale Avvenire. Riporto una sua risposta in cui affronta il tema della gratitudine, del sapere dire grazie. (A noi può servire perché qualcuno pensa che tutto gli sia dovuto). Gratitudine: ravvisa differenze tra le persone africane e quelle europee? Sì. Quando le persone, come accade in Europa, vivono in un contesto ricco di risorse, di possibilità, di strutture, corrono il forte rischio di dare tutto per scontato, di sentirsi padrone della vita, di pensare che tutto dipenda da loro. E quindi corrono il forte rischio di pensare di non dover ringraziare nessuno. Le popolazioni africane, che invece vivono in contesti di grande povertà, sono molto meno esposte a questo rischio e molto più portate a ringraziare.

Ri(flessioni). 1. Di nuovo suicidi in carcere Dopo qualche settimana in cui non ci sono stati suicidi in carcere, ecco che purtroppo un detenuto di 62 anni si è tolto la vita nella cella d’isolamento del carcere di Benevento. Un altro disperato che non vedeva più alcuna speranza per il futuro. E’ il 68° dall’inizio dell’anno. Non si vedono provvedimenti seri da parte della politica che, probabilmente, non sa bene cosa fare. Intanto, però, i più fragili, i più disperati (e molti di loro non dovrebbero nemmeno stare in carcere) muoiono. Lo Stato, a cui erano affidati, non ha saputo proteggerli.

2. Violenza in corsia Il dolore per la morte di una ragazza di soli 23 anni, avvenuta nell’ospedale di Foggia, dove i medici hanno cercato di salvarla, ha scatenato la violenta reazione di parenti e amici. In più di cinquanta si sono scagliati contro i medici e gli infermieri con calci e pugni, costringendoli a barricarsi in un ufficio. Momenti di paura e di profonda amarezza. Si perdono le norme basilare del vivere insieme, si perde il rispetto per il lavoro altrui, si pretende tutto, e subito, anche l’impossibile. Salvo poi, la poca disponibilità a fare la propria parte. Senza svolgere con coscienza e passione il proprio lavoro, senza riconoscere agli altri quei diritti che con prepotenza pretendiamo per noi, senza rispettare quelle leggi indispensabili per non nuocere agli altri.

3. Carcere anche per il padre Nello Stato della Georgia (USA) è stato arrestato il padre che a Natale aveva regalato al figlio un fucile, usato poi in una strage compiuta a scuola. Due studenti e due insegnanti hanno perso la vita. Noi italiani facciamo fatica perfino a pensare come un padre possa fare un simile regalo al figlio. Facciamo fatica a capire come negli Stati Uniti ci siano più armi da fuoco che cittadini. Non so dire se punire anche il padre può aiutare a limitare il più possibile queste tragedie. E i padri chi li ferma? Le armi, in mano a semplici cittadini, servono davvero per una vita più sicura? La riflessione da fare è molto ampia e complessa. E non deve essere fortemente compromessa da chi le armi le costruisce.

4. In cerca di lavoratori E’ stato calcolato che nel prossimo quinquennio l’Italia avrà bisogno, per mandare avanti l’economia e per soddisfare alle richieste di manodopera, di assumere almeno 500.000 immigrati. Un’opportunità per tanti che desiderano migliorare la propria vita. Speriamo che si vada con più determinazione verso un’accoglienza vera, veloce, improntata sull’accoglienza, senza lungaggini e assurdità burocratiche. Ma anche ricordandoci sempre che non sono solo mano d’opera, sono uomini e donne da rispettare nella dignità sostenendoli nel desiderio di una vita migliore. dt.

 

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