Settimanale di varia umanità carceraria C.C. di Monza Numero 10 – 14 luglio 2024 XV domenica Tempo Ordinario
In povertà, come Gesù Credo di immaginare abbastanza facilmente quale potrebbe essere la reazione di molti ascoltando le parole che Gesù rivolge agli apostoli quando li invia ad annunciare il vangelo: E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. Perché mai? Che c’è di male a partire ben attrezzati, così da non ritrovarsi poi per la strada e accorgersi che ci manca qualcosa di necessario? Come certi escursionisti che, dovendo raggiungere la vetta di una montagna, o semplicemente per un pic-nic nei prati, caricano lo zaino di ogni ben di dio, rendendo poi, però, molto più faticosa la salita. Le cose, a cui teniamo tanto, sono necessarie ma possono anche diventare un peso, una zavorra, qualcosa che non facilita la vita ma la rende più complicata. Il nostro attaccamento alle cose ci rende schiavi: si fanno finanziamenti, si chiedono prestiti per acquistare cose non sempre necessarie, ci sembra di non poter vivere se non possediamo scarpe o pantaloni di una certa marca. In fondo, le parole di Gesù, vogliono liberarci dalla schiavitù. Ma è una liberazione che passa attraverso una scelta di povertà. E’ questo che ci dà fastidio: l’invito ad abbracciare la povertà e farne una scelta di vita. Per Gesù scegliere la povertà vuol dire scegliere lui, vivere come lui, confidare non sulla ricchezza e sul potere ma sulla forza della debolezza, dell’essere poveri e di seguire la strada della povertà assoluta che è quella della croce. La tentazione della ricchezza può rovinare anche le buone intenzioni di chi desidera fare del bene, più possiedo più posso aiutare chi è nel bisogno. E non ci si accorge che le cose materiali legano, il denaro imprigiona. Si ha l’illusione di poter aiutare gli altri con le cose, di dare loro con generosità ciò che possediamo, di risolvere così ogni problema. Rimarranno illusioni. In ogni caso non è certo la strada che ha scelto Gesù. In ogni caso dimostriamo di confidare di più in noi stesso e nel valore effimero delle cose che non nella forza delle scelte fatte da Gesù. Ma anche il più ricco di questo mondo non potrà soddisfare a tutte le richieste. Nessun Governo, anche se lo proclama, riuscirà ad abolire la povertà. I poveri li avrete sempre con voi, ci ricorda Gesù. Perché i bisogni dell’uomo non sono solo quelli materiali, e tutti abbiamo qualcosa di grande e prezioso da donare: noi stessi. dtiziano
Anno Santo 2025 - Un anno di speranza per il futuro Non manchi l’attenzione verso i migranti
Continuiamo a conoscere quanto il Papa ci ha indicato nella Bolla di indizione del Giubileo Ordinario, Spes non confundit (La speranza non delude), che celebreremo nel prossimo anno 2025. Dopo aver ricordato, la scorsa settimana, quanto il Papa ha scritto parlando dei giovani e della fiducia che andrebbe loro accordata, riflettiamo oggi sulla realtà dei migranti, dei rifugiati, sui rischi che incontrano nella speranza di realizzare il giusto desiderio di una vita migliore, e sulle nostre responsabilità nel saper organizzare una adeguata accoglienza. L’anno santo è un’occasione per ritrovare speranza, per perdonare e essere perdonati. E’ l’anno in cui poter ricominciare, guardando al futuro con fiducia, anche se sentiamo il peso degli errori del passato, nostri e degli altri uomini. Non potranno mancare segni di speranza nei riguardi dei migranti, che abbandonano la loro terra alla ricerca di una vita migliore per sé stessi e per le loro famiglie. Le loro attese non siano vanificate da pregiudizi e chiusure; l’accoglienza, che spalanca le braccia ad ognuno secondo la sua dignità, si accompagni con la responsabilità, affinché a nessuno sia negato il diritto di costruire un futuro migliore. Ai tanti esuli, profughi e rifugiati, che le controverse vicende internazionali obbligano a fuggire per evitare guerre, violenze e discriminazioni, siano garantiti la sicurezza e l’accesso al lavoro e all’istruzione, strumenti necessari per il loro inserimento nel nuovo contesto sociale. La comunità cristiana sia sempre pronta a difendere il diritto dei più deboli. Spalanchi con generosità le porte dell’accoglienza, perché a nessuno venga mai a mancare la speranza di una vita migliore. Risuoni nei cuori la Parola del Signore che, nella grande parabola del giudizio finale, ha detto: «Ero straniero e mi avete accolto», perché «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me» (Mt 25,35.40).
Tre diverse storie di accoglienza, di non-accoglienza e sofferenza gratuita inflitta 1. Domenica 30 giugno. Un peschereccio con 200 persone a bordo è in difficoltà. Malta non risponde alle richieste di aiuto, L’Italia sì. Scattano le operazioni di soccorso, con esemplare collaborazione tra una nave di soccorso umanitario e le autorità italiane, tramite la Guardia costiera. Porto sicuro assegnato: Catania. Giusto, un porto vicino per chi da giorni era alla deriva in mare.
2. Il mercoledì successivo un’altra imbarcazione umanitaria soccorre 36 migranti tra cui 17 minori non accompagnati. E’ a poche miglia da Lampedusa ma il porto sicuro assegnato è Pozzallo. Per una piccola imbarcazione, viste anche le condizioni meteorologiche avverse, è una meta lontana. Scelta crudele e disumana. Il comandante decide di farli sbarcare comunque a Lampedusa evitando di aggiungere altre sofferenze ai migranti. Scelta coraggiosa e con tanta umanità. Punita però dalle nostre autorità con un fermo amministrativo di 20 giorni, in cui non potranno salvare altre vite, e da qualche sanzione economica. 3. Due giorni dopo, la stessa nave che la domenica precedente aveva portato in salvo nel porto di Catania 200 migranti, raccoglie in tre diverse operazioni di salvataggio circa 300 persone. Ma il porto sicuro ora assegnato è Bari, altri quattro giorni di navigazione. Contrordine: le prime 111 persone soccorse vengono prelevate da una motovedetta e sbarcate a Lampedusa. Gli altri, bambini compresi, ancora in viaggio, ancora sofferenza, amara delusione. Con quale logica? Norme disumane, per punire chi, in qualche misura, un po’ di umanità l’ha conservata. Siamo complici? Per la Corte di Cassazione la Libia non è un porto sicuro e per questo affidare alla guardia costiera i migranti soccorsi è un reato. Eppure si continua in questa linea, compresi i finanziamenti e i supporti tecnico-logistici generosamente offerti dall’Italia. Contribuiamo alle sofferenze e alle torture che i migranti subiranno una volta riportati in Libia. Sosteniamo chi tortura e dimostra disprezzo per il valore della vita umana e puniamo, ancora una volta, chi cerca di salvare qualche vita umana. Si è offuscato il senso di civiltà e di umanità. Dal quotidiano “Avvenire” di mercoledì: Il terrore di ritornare in Libia. E i migranti si buttano in mare. E’ la testimonianza dell’equipaggio di una nave umanitaria che ha assistito a questa ennesima violenza. Per quelli che invece è riuscita a soccorrere è stato assegnato il porto “sicuro” di Genova, lontanissimo: assurdo e crudele. dt.
Alcuni dati dall’inizio dell’anno: nel Mediterraneo 399 morti e 487 dispersi. Migranti intercettati e riportati in Libia 9578 di cui 641 donne e 321 bambini
Commenti
Posta un commento