Numero 11 – 21 luglio 2024 XVI domenica Tempo Ordinario - Settimanale di varia umanità carceraria C.C. di Monza



Mettersi nei panni degli altri Sembra non esserci niente di eclatante nel brano di vangelo di oggi, nessun miracolo, nessun avvenimento straordinario, né discorsi memorabili di Gesù. Si potrebbe quasi definire un brano feriale, di passaggio. Contiene però una parola straordinaria che rivela un atteggiamento stupendo di Gesù: la commozione. Sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore. Gesù si commosse perché vide tanta gente che cercava qualcosa, desiderosa di andare oltre, di dare un senso più grande alla loro vita. Si commosse perché intuì il loro smarrimento, la sofferenza che la vita porta con sé fino a renderla alle volte troppo pesante, la fame che tormenta l’esistenza. Gesù non rimane indifferente, non è il maestro che passa a dispensare la sua Parola senza accorgersi della miseria che circonda l’uomo. La sua commozione è profonda, intensa, si lascia coinvolgere. Il dolore dell’altro diventa il suo dolore, si mette al suo fianco e soffre con lui. Per Gesù compatire significa provare gli stessi sentimenti di chi soffre e decidere di far parte della sua vita. E come se dicessi: accetto, d’ora in poi, di camminare al tuo fianco, di fare un pezzo di strada con te, che può essere anche lungo, senza preoccuparmi di che cosa ti posso dare, perché in realtà ti ho donato me stesso, con le mie fragilità e miserie. Non è un semplice aiuto, anche generoso, ma che non mi mette in relazione con l’altro, non mi compromette e ha pure il rischio di illudermi di aver fatto chissà che cosa. Questa è la compassione di Gesù. Diciamolo con parole semplici: mettersi nei panni degli altri. L’altro non dovrebbe mai essere un estraneo, nessuno mi è nemico, nessuno è da tenere alla larga. Non potrò capire la sua sofferenza, i suoi bisogni, neanche coglierò la ricchezza che mi può donare. Prima di giudicare qualcuno, e sarebbe meglio non farlo, prima di assumere comportamenti ostili e di rifiuto, prima di escludere chi sembra diverso, cerchiamo di capirlo, di individuare il suo disagio, le sue fragilità. Scopriremo che ci assomiglia tantissimo, e in ogni caso è solo creando relazioni di rispetto e di accoglienza che si può ancora sperare in qualcosa di bello. Così scrive S. Paolo: Cristo è la nostra pace, colui che dei due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro della separazione che li divideva, cioè l’inimicizia. Il cristiano è l’uomo della pace. dtiziano.

 Anno Santo 2025 - Un anno di speranza per il futuro Non manchi l’attenzione verso gli anziani

Continuiamo a conoscere quanto il Papa ci ha indicato nella Bolla di indizione del Giubileo Ordinario, Spes non confundit (La speranza non delude), che celebreremo nel prossimo anno 2025. Dopo aver ricordato, la scorsa settimana, quanto il Papa ha scritto parlando dei migranti, del loro desiderio di una vita degna di essere vissuta e della nostra responsabilità nel dimostrare capacità di accoglienza, oggi riflettiamo sulla capacità di essere attenti verso le persone anziane valorizzando le loro capacità e le esperienze vissute. L’anno santo è un’occasione per ritrovare speranza, per perdonare e essere perdonati. E’ l’anno in cui poter ricominciare, guardando al futuro con fiducia, anche se sentiamo il peso degli errori del passato, nostri e degli altri uomini.

Segni di speranza meritano gli anziani, che spesso sperimentano solitudine e senso di abbandono. Valorizzare il tesoro che sono, la loro esperienza di vita, la sapienza di cui sono portatori e il contributo che sono in grado di offrire, è un impegno per la comunità cristiana e per la società civile, chiamate a lavorare insieme per l’alleanza tra le generazioni. Un pensiero particolare rivolgo ai nonni e alle nonne, che rappresentano la trasmissione della fede e della saggezza di vita alle generazioni più giovani. Siano sostenuti dalla gratitudine dei figli e dall’amore dei nipoti, che trovano in loro radicamento, comprensione e incoraggiamento.

 

 

Nel 2023, la speranza di vita degli italiani è di 81,1 anni per i maschi e di 85,2 per le femmine. Ogni 100 giovani ci sono 193 anziani.

 

Un pensiero per Anatolii, e per tanti altri…

Un pensiero per Anatolii, che una settimana fa si è tolto la vita in questo nostro carcere di Monza. Un pensiero che comprende altre cinquantasette persone che dall’inizio dell’anno si sono suicidate nelle carceri italiane: Luca, Giuseppe, Mohamed, José, Alexander, Antonio, Othuoad… Ogni volta è un dolore profondo, senso di impotenza, di sconfitta, di turbamento. E’ troppo difficile, quasi impossibile per noi immaginare quanto questi nostri fratelli hanno sofferto, quale peso insopportabile schiacciava il loro cuore, quali rimorsi, quanti rimpianti, ma anche desideri giusti e legittimi che non si realizzavano e apparivano sempre più irraggiungibili. No, forse non è stata avversione verso la vita, ma amore disperato verso una vita che appariva senza più luce. Ogni volta penso che la vita può essere molto dura, ingiusta, anche crudele, una vita che ti offre ben poco ma che riesce a toglierti tutto. Eppure, la vita, è il valore più bello che possediamo, dovremmo farne tesoro. Penso ad Anatolii, e a ciascuno di voi, che da soli, nell’abbandono e nella solitudine di una cella, in un luogo triste e severo, avete posto fine alla vostra vita. Meritate rispetto, compassione, affetto. Penso alle vostre famiglie, agli amici, a coloro che per voi hanno pianto: che almeno alla fine qualcuno attorno a voi ci sia stato, che qualcuno vi abbia accompagnato, che qualcuno conserverà nel cuore il vostro ricordo. Nessuno può giudicare né la vostra vita, né il vostro ultimo gesto. Solo Dio lo può fare, il Dio di tutti e il Dio di ciascuno di voi. Ma Dio, che legge nel vostro cuore, è un Dio compassionevole, un Dio che, ne sono certo, avrà un occhio di riguardo per chi ha sofferto, per chi in questa vita ha ricevuto poco o nulla, anche per chi ha sbagliato e l’ha pagata cara. Un Dio capace solo di abbracciarci e di asciugare tutte le nostre lacrime. E noi, se siamo credenti, una preghiera per loro. Domenica scorsa abbiamo pregato per te, Anatolii, ti abbiamo ricordato, ti abbiamo affidato Dio, che è Padre di tutti, perché ti accolga, ti doni pace e vita, ti perdoni il male che, come tutti noi, hai commesso, ti conceda tutto quel bene che nella tua vita non hai incontrato. Che accolga te e tuti i fratelli detenuti che si sono tolti la vita. dt.

 

Ri(flessioni) 1. Lavoro nero Lavoro nero, lavoro mal pagato, lavoro negato: alle radici del disagio che spesso porta in carcere. Satnam Singh non era solo: 230mila nuovi schiavi nelle nostre campagne, a lavorare per pochi soldi, in condizioni miserevoli, sono il sintomo di un sottobosco di delinquenza, crimine organizzato e non, ignoranza e impotenza. Lo sfruttamento coinvolge tantissimi lavoratori nelle zone agricole italiane, ma si estende anche ad altri settori (a partire dai rider). Secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), i nuovi schiavi sarebbero 40 milioni in tutto il mondo, Occidente compreso. Questo porta a commettere reati e ad accrescere l’affollamento delle nostre carceri: ci finiscono sia (spessissimo) i lavoratori irregolari, che poi vengono espulsi, sia (meno frequentemente) i datori di lavoro che approfittano di persone in condizioni di svantaggio. E bisogna immaginare premialità per chi rispetta le regole. gd 2. Caos informatico Un guasto informatico ha mandato in tilt trasporti e mercato. Ieri è stata una giornataccia. E’ bastato un guasto, un errato aggiornamento dei sistemi informatici, per mettere in serie difficoltà mezzo mondo.

 

Credo che ci sia molto su cui riflettere e che troppo tranquilli è difficile rimanere.

3. Carcere: Ancora suicidi Anatolii, nel carcere di Monza, non è stato l’ultimo. Altri due lo hanno seguito in questa ultima settimana di una estate che fa paura: siamo fuori tempo massimo, Non c’è davvero più tempo.

Occorre fare qualcosa di serio, scelte coraggiose e di largo respiro. Alcune persone non dovrebbero proprio stare in carcere, ma in luoghi dove ci si possa davvero prendere cura di loro

4. Repressione in Bangladesh Il solito vizio di reprimere chi esprime il proprio dissenso. In Bangladesh l’esercito spara sui manifestanti, per lo più giovani: centinaia di morti. Il potere che non accetta di confrontarsi attraverso il dialogo, ma che impone le proprie scelte con la forza, rendendo tutto più complicato e seminando terrore e morte.

5. Papa Francesco a Trieste In occasione della Settimana sociale che si è tenuta a Trieste, papa Francesco ha pronunciato alcune frasi molto interessanti. Il vero scandalo sono i potenti che giocano sulla pelle dei poveri. Storia che si ripete da sempre. I cristiani siano profeti lì dove la vita viene abbruttita, ferita, uccisa Il cristiano è chiamato a stare accanto agli ultimi, sempre, in ogni contesto. Quello è il suo posto. dt.

 

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