DENTROFUORI Settimanale di varia umanità carceraria C.C. di Monza Numero 9 – 7 luglio 2024 XIV domenica Tempo Ordinario
Gesù, uno scandalo Dal vangelo di oggi: Ed era per loro motivo di scandalo. Gesù era motivo di scandalo, e lo era per i suoi compaesani, in teoria quelli che, più di altri, avrebbero dovuto capirlo e accoglierlo. Che strano: ogni tanto sento qualcuno dire che se incontrasse Gesù, se potesse vederlo e ascoltare le sue parole sarebbe molto più facile credere. Desiderio sensato, più o meno lo stesso di san Tommaso: non crederò finché non metterò il mio dito nelle sue piaghe. I compaesani di Gesù avrebbero dovuto essere perfetti credenti. Sapevano tutto di lui, vita morte e miracoli, come si usa dire in questi casi, e magari aggiungendovi anche qualche pettegolezzo. Proprio per questa conoscenza, invece, non lo accolgono. Le folle che lo cercavano, migliaia e migliaia di persone, pronte però a voltargli le spalle. Allora la questione è un’altra: come vedere, ascoltare e anche toccare Gesù. E capire che sicuramente è stata una grazia per coloro che lo hanno incontrato di persona, ma non è indispensabile per accoglierlo e diventare suoi discepoli. Ricordate il vangelo della scorsa settimana: Chi mi ha toccato? si chiede Gesù mentre in tanti lo strattonano da tutte le parti. Una donna lo aveva toccato in modo diverso. In quel toccare c’era un desiderio sincero, un desiderio di relazione, e un cuore pronto ad amare. Quella donna era pronta ad accogliere la novità di Gesù, che per lei non rappresentava uno scandalo. Per i suoi compaesani ciò che è inaccettabile è che quell’uomo, così ben conosciuto, possa parlare a nome di Dio, essere così diverso, fuori dagli schemi, e in più ci parla di un Dio, grande nell’amore, ma che sceglie ciò che è piccolo, umile e fragile, un Dio che non intende stare con i potenti ma essere il difensore dei poveri e degli ultimi. Gesù si pone tra quei profeti, come Ezechiele nella prima lettura, che hanno avuto vita difficile, rifiutati e perseguitati per la parola che annunciavano, per le scelte di vita messe in atto e per il richiamo continuo e coerente a una vita vissuta sotto lo sguardo di Dio. Profeti però che hanno lasciato il segno, che hanno scosso le coscienze, che hanno saputo almeno risvegliare un po’ di nostalgia di Dio, delle cose grandi e belle, che hanno saputo anche solo per qualche istante metterci in crisi. La grazia di Dio, sicuramente, farà il resto. Dtiziano
Anno Santo 2025 - Un anno di speranza per il futuro Non manchi l’attenzione verso i giovani
Continuiamo a conoscere quanto il Papa ci ha indicato nella Bolla di indizione del Giubileo Ordinario, Spes non confundit (la speranza non delude), che celebreremo nel prossimo anno 2025. Dopo aver ricordato, la scorsa settimana, quanto il Papa ha scritto parlando degli anziani e ammalati, riflettiamo oggi sulla realtà giovanile, sui grossi rischi che incontrano i giovani, sulle responsabilità che pesano sulle spalle degli adulti-educatori. L’anno santo è un’occasione per ritrovare speranza, per perdonare e essere perdonati. E’ l’anno in cui poter ricominciare, guardando al futuro con fiducia, anche se sentiamo il peso degli errori del passato, nostri e degli altri uomini.
Di segni di speranza hanno bisogno anche coloro che in sé stessi la rappresentano: i giovani. Essi, purtroppo, vedono spesso crollare i loro sogni. Non possiamo deluderli: sul loro entusiasmo si fonda l’avvenire. È bello vederli sprigionare energie, ad esempio quando si rimboccano le maniche e si impegnano volontariamente nelle situazioni di calamità e di disagio sociale. Ma è triste vedere giovani privi di speranza; d’altronde, quando il futuro è incerto e impermeabile ai sogni, quando lo studio non offre sbocchi e la mancanza di un lavoro o di un’occupazione sufficientemente stabile rischiano di azzerare i desideri, è inevitabile che il presente sia vissuto nella malinconia e nella noia. L’illusione delle droghe, il rischio della trasgressione e la ricerca dell’effimero creano in loro più che in altri confusione e nascondono la bellezza e il senso della vita, facendoli scivolare in baratri oscuri e spingendoli a compiere gesti autodistruttivi. Per questo il Giubileo sia nella Chiesa occasione di slancio nei loro confronti: con una rinnovata passione prendiamoci cura dei ragazzi, degli studenti, dei fidanzati, delle giovani generazioni! Vicinanza ai giovani, gioia e speranza della Chiesa e del mondo!
MORIRE DI CARCERE. NON C'E' DAVVERO PIU' TEMPO - Maratona oratoria il 3 luglio dalle ore 11.30 in Piazza dell'Arengario a Monza
Ho partecipato a questa Maratona oratoria, lo scorso martedì. Propongo un sunto dell’intervento che ho tenuto in questa occasione. Il carcere, lo sappiamo molto bene, è il luogo della sofferenza, del dolore insopportabile, della sospensione traumatica della vita di tutti i giorni. La grande sofferenza dovuta alla privazione della libertà, una sofferenza che appare come inevitabile. Ma a questa sofferenza se ne aggiungono altre, troppe, spesso evitabili con un po’ di buona volontà. Sofferenze che non dovrebbero far parte della pena ricevuta, ma che pesano molto sulla vita quotidiana di ogni detenuto. Una specie di pena aggiuntiva. La lentezza che porta all’esasperazione: tutto si dilata nel tempo, dalle piccole alle grandi richieste, risposte attese che non arrivano, un continuo rimandare e non si sa a quando. L’assurdità di norme e regolamenti eccessivi, alle volte anche inutili, che chiamarli
complicati è poca cosa. Lasciati poi alla libera interpretazione degli operatori. La privazione di diritti che di per sé non sarebbe neanche necessaria. Dopo la privazione della libertà, cosa seria su cui essere estremamente cauti, la sofferenza più acuta è la mancanza di più stretti rapporti con le persone care, quelle che si amano: le mogli, i mariti, i compagni e le compagne, i figli, e perché no? gli amici che hanno segnato la nostra vita. Quando si arresta una persona è come se si arrestasse una famiglia intera. Dolore e vergogna cambiano la vita per quelle famiglie. Dove ci sono figli piccoli poi diventa un dramma: un trauma che in qualche misura non li abbandonerà per tutta la vita. Davvero non si può trovare un'altra soluzione che sappia tenere insieme la giusta esigenza della giustizia e il rispetto per le persone vittime dei reati, ma anche l’esigenza di non infliggere troppe condanne non meritate a bambini che hanno comunque bisogno del padre e della madre? Il carcere è il luogo della sofferenza e del dolore insopportabile, per sua natura. Non si dovrebbe aumentare la già insopportabile sofferenza. Nel carcere di Monza, a fronte di una capienza di 411 posti, il numero dei detenuti presenti si aggira da tempo attorno ai 700. Se un carcere è stato pensato per 400 detenuti non ne posso mettere 700: equivale a sottoporli a tortura. E’ come mettere dieci persone in un appartamento di quaranta metri quadri. Non ci vuole molto a capire che questa situazione, simile in quasi tutte le carceri italiane, crea disagi e ulteriore gratuita sofferenza che può portare tensioni, litigi, e anche a gesti sconsiderati, oltre a una costante, quotidiana, fatica di vivere. Il carcere è il luogo della sofferenza anche per l’evidente inadeguatezza nel trattenere le persone segnate da ogni tipo di dipendenza, droghe, alcol, gioco d’azzardo. Sono sempre di più i detenuti in queste condizioni. Inadeguato il carcere per i malati psichiatrici, anche questi in numero considerevole. Inadeguato il carcere per i minorenni. Sono sfide queste, certamente enormi, che richiedono grandi risorse, sia umane che economiche. Ma se non si affrontano si va inevitabilmente incontro a costi ancora maggiori, a ulteriori danni per la comunità, oltre soprattutto al male verso queste persone svantaggiate per non aver tentato di aiutarle. Il carcere è il luogo della sofferenza insopportabile, talmente insopportabile che in un momento di disperazione può portare al suicidio, o a qualche gesto di autolesionismo. Anche un solo suicidio è troppo e quest’anno sono già stati superati i numeri degli scorsi anni. Una cinquantina i suicidi dei detenuti in questi primi sei mesi dell’anno. Ma anche cinque agenti di polizia penitenziaria, l’ultimo un ispettore, pochi giorni fa. Il suicidio è sempre un mistero, qualcosa di troppo complesso, impossibile individuare le motivazioni ultime che portano un uomo a questo gesto estremo. Forse l’atteggiamento più giusto e rispettoso è il silenzio. Ciò non vuol dire che non possiamo fare niente: dobbiamo e possiamo fare qualcosa. Cominciando a eliminare tutto ciò che toglie la voglia di vivere, trattamenti che ledono la dignità, aspettative sempre deluse, non ricevere fiducia, condizioni di vita all’interno del carcere poco accettabili, difficoltà di relazioni con le persone care. Occorre ridare speranza, occorre non limitarsi solo alla pena da infliggere, ma a serie proposte di rieducazione, di consapevolezza del male commesso, a concrete proposte di reinserimento attraverso il lavoro e anche per riparare in qualche modo al male fatto. E poi, importantissimo, operare perché la società civile, ogni cittadino e cittadina, cambi l’atteggiamento nei confronti del carcere e dei carcerati. Dtiziano
Pillole di conoscenza 1. Liberazione anticipata (forse) Il 15 luglio la commissione giustizia della Camera dei Deputati è chiamata a licenziare il testo finale della proposta di legge Giachetti-Bernardini e delle opposizioni, che estende i giorni di liberazione anticipata da 45 a 60 per ogni semestre di pena scontata; il 17 luglio tale proposta arriverà in aula alla Camera e c’è l’importante svolta di Forza Italia che ha ufficialmente dichiarato di voler votare a favore della liberazione anticipata speciale: “Non possiamo far finta di nulla rispetto allo spaventoso aumento di suicidi”, dichiara il vicepresidente della commissione, il forzista Pietro Pittalis. Questa presa di posizione fa seguito alle dichiarazioni del viceministro della Giustizia, il forzista Francesco Paolo Sisto, noto costituzionalista, che la settimana precedente si era pure detto favorevole a un provvedimento di clemenza. Forse qualcosa stavolta si muove. Forse. en.
2. Forse, anche no!
Il ministro Nordio, deludendo non pochi, trova la soluzione al sovraf-follamento in poche semplici cose: potenziare il personale di polizia, sveltire la macchina giudiziaria di sor-veglianza, affidarsi alle comunità per tossicodipendenti. Come dire, intanto state dentro e fatevi la galera. en.
Ri(flessioni)
1.Carcere : Ancora suicidi Impressionante: solo nella giornata di giovedì altri tre suicidi. Nelle prigioni si continua a morire: 53 dall’inizio dell’anno. Un uomo di 35 anni nel carcere di Livorno: lascia moglie e tre figli. A Pavia un ragazzo egiziano di 20 anni e a Firenze un altro ragazzo di 20 anni, tunisino. Siamo fuori tempo massimo: Non c’è davvero più tempo, come è stato ripetuto più volte nella maratona oratoria di martedì, all’Arengario di Monza. Ma ai politici interessa qualcosa o prevale l’indifferenza, la volontà di non intervenire in modo efficace, o purtroppo l’incapacità di fare scelte coraggiose e impopolari ma rispettose della dignità dei detenuti? dt.
2. Il coraggio della fede.
Non è moder-no al giorno d’oggi avere fede, credere in Dio intendo: ci vuole molto coraggio quan-do tutto o quasi è spiegato dalla scienza e veduto con il lume della ragione. Coraggiosi sono coloro che hanno fede, perché sono come marinai in mare aperto Senza bussola. Ma ci sono le stelle che nella notte illuminano la navigazione, quelle stelle sono i buoni esempi e i buoni gesti. en.
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