Numero 13/25 30 marzo 2025 Quarta domenica di Quaresima - Settimanale di varia umanità carceraria C.C. di Monza


Ogni settimana riceviamo dal cappellano del carcere di Monza Don Tiziano Vimercati contributi "del tempo ordinario, settimanali di varia umanità" che vengono letti ai detenuti durante la messa della domenica. Abbiamo deciso di pubblicarli sul nostro blog perché riteniamo siano ulteriori testimonianze della vita carceraria.

L’eccessivo e stupendo amore del Padre
 

Un figlio, il minore, ha lasciato la casa di famiglia, andando in paesi lontani, facendo la bella vita, trovandosi però in breve tempo in situazione precaria. Il padre lo lascia libero ma non si rassegna, l’ansia lo divora, la speranza di riabbracciarlo non si spegne; un padre che continuerà a voler bene ai figli, a quello un po’ scapestrato che ha lasciato la casa, e all’altro, al figlio maggiore, che reclama la sua obbedienza e lealtà, e che non si è mai allontanato. Un amore attento, capace di cogliere le specifiche necessità di ogni figlio, senza trascurarne nessuno. L’abbiamo capito: è la parabola conosciuta come “Del figliol prodigo”, ma che dovremmo abituarci a definire “Del Padre misericordioso”. Perché di questo parla la parabola, e tutto ci invita a riflettere sul comportamento del Padre, eccessivo e stupendo nell’amore. Lo stava aspettando, lo scorge che era ancora lontano. Quel figlio lo faceva soffrire ma non si rassegnava alla perdita. Era pur sempre suo figlio, e lo sarebbe stato per sempre, sempre più nel suo cuore, sempre più amato. Penso ai tanti papà e alle tante mamme che soffrono perché si accorgono che con il figlio/a il dialogo è sempre più difficile, che si sta allontanando sempre di più, pur non lasciando la casa ma considerandola, come si usa dire, come un albergo. Mamme e papà che non sanno bene dove passi il tempo libero, e addirittura le notti, che lo vedono rincasare ubriaco, con il sospetto che faccia uso anche di droghe. La paura che attanaglia troppi genitori, almeno quelli attenti e che hanno a cuore il bene dei figli. Penso anche ai genitori in cui la paura di ciò che può accadere ai figli si è trasformata in realtà. Il figlio ne combina di tutti i colori, reati compresi. Ma non per questo li abbandonano. Pur sempre figli, e per sempre. E’ ciò che mi commuove in continuazione, da sempre. Soprattutto ora. Mi capita di incrociare i parenti quando entrano per le visite in carcere: mamme e papà segnati dal dolore, dalle innumerevoli delusioni subite, da promesse non mantenute, dalla conflittualità, ma sempre lì, anche per anni, sempre pronti a donare amore, cercando nei limiti del possibile di non far mancare niente al figlio, e, in fondo al cuore, sempre a sperare che qualche miracolo avvenga. Ecco di cosa parla la parabola. Gesù ci rivela il volto di Dio, il Padre misericordioso, una misericordia che compie miracoli quando è compresa, accolta e vissuta. E ci rivela il volto di noi, suoi figli, da sempre e per sempre amati, capaci di tornare sui nostri passi verso la casa del Padre, capaci di fare il bene. dtiziano.

Un detenuto legge la parabola del Padre misericordioso 

La parabola del figliol prodigo o, meglio, del “padre misericordioso” (Lc 15,11-32), coglie precisamente il senso del viaggio un po’ schizofrenico che compiono molti detenuti che ho incontrato nei mesi di detenzione: c’è chi aveva una discreta posizione sociale ed economica, ma è caduto nell’attrazione del gioco, o degli stupefacenti, o del denaro facile che la vita criminale può garantire, e ha perduto posizione e famiglia. C’è chi invece ha trovato nel crimine lo strumento per migliorare la propria condizione o dare migliori opportunità alla propria famiglia, una via rapida e facile, con diverse incognite e molti rischi. C’è chi nella delinquenza c’è finito per caso, ma poi ci è rimasto, per i medesimi motivi e scopi degli altri due. Ecco, nella parabola di Gesù che così efficacemente descrive la condizione di questo giovane che, forte del rapido arricchimento dato dalla dote paterna e corroborato dal proprio egoismo irresponsabile, si crede imbattibile, sicuro, temerario. In quella parabola tutti i fattori sono ridotti ai minimi termini: l’irresponsabile figlio che ha sperperato la propria vita e torna dal padre siamo tutti noi, carcerati, che abbiamo forse troppo fiduciosamente confidato nella buona sorte della fortuna e del caso, per condurre una vita benestante senza grossi sacrifici, oppure abbiamo voluto prendere delle “scorciatoie” e saltare dei passaggi per arrivare al traguardo; oppure ancora ci siamo illusi di poter far facilmente e velocemente il denaro senza considerarne il vero prezzo, o dandolo per male minore! Cioè la possibilità di finire in carcere. Il fratello maggiore è la società, è chi sta fuori dal carcere, che guarda chi sta dentro e dice: perché dovrei preoccuparmi di sostenere e aiutare chi “ha scelto” di finire dentro? Chi è il padre misericordioso? Questa è la figura realmente protagonista di tutta la parabola. Nella proiezione metaforica che stiamo facendo dalla parabola al mondo del carcere, il padre misericordioso potrebbe essere individuato nell’istituzione carceraria: lo Stato. Nelle intenzioni del legislatore infatti, in particolare con la legge n. 354 del 1975, la cosiddetta legge sull’ordinamento penitenziario, che quest’anno compie giusto 50 anni, lo Stato “può” mostrarsi anche “misericordioso” cioè attivare ogni e più utile strumento per venir incontro a quei “figli prodighi” detenuti, ponendo in essere ogni azione per aiutare chi ha sbagliato a non rifar l’errore primigenio. E la grande forza rivoluzionaria della parabola sta nel rovesciamento del piano di valori su cui le nostre comunità si fondano: per il figlio reietto che ritorna, si fa festa con un gran banchetto. Qui è importante sottolineare però un aspetto caratterizzante: il figliol prodigo ritorna alla casa del padre consapevole dei propri errori e umile e contrito rispetto alle scelte sbagliate. Quanti di noi, detenuti, sono pronti a fare questo genere di ammissione di colpa, impegnandosi a rigar diritto? e.n.




Messaggio dell’arcivescovo ai musulmani 

Testimoniamo insieme il primato di Dio nelle nostre esistenze Cari fratelli e sorelle musulmani, anche quest’anno è mia premura far pervenire a tutti voi gli auguri miei personali e dei cristiani della Diocesi di Milano per una fruttuosa conclusione del mese di Ramadan e un gioioso ’Id al-Fitr. Come ha ricordato il messaggio del Dicastero per il Dialogo Interreligioso, la condivisione di un tempo di digiuno e di preghiera – noi nel periodo della Quaresima, voi nel mese di Ramadan – è l’occasione per ritrovare le comuni radici del dialogo e della fratellanza: dialogo e fratellanza preziosi e necessari non soltanto per nobili motivi estrinseci – quali la costruzione di vie di confronto, di stima e di pace -; ma soprattutto, e molto più profondamente, per testimoniare gli uni agli altri, e alla società milanese e lombarda, il primato di Dio nelle nostre esistenze, insieme alla gioia che scaturisce dal vivere fedeli a Lui e alla Legge che ci ha donato. In questa epoca in cui il dilagare del male e dell’odio tra gli uomini viene dolorosamente reso manifesto da guerre senza fine, la testimonianza di tale radice e della primazia di Dio è ancora più necessaria. Le nostre religioni ci ricordano che, per fermare l’odio e i conflitti, l’arma migliore è la misericordia di Dio. Lasciamoci contagiare dal Suo perdono, per diventare noi tutti fratelli universali, come ha chiesto ai cristiani Papa Francesco nella sua lettera enciclica Fratelli tutti, scritta ormai cinque anni fa ma ancora molto attuale. In atteggiamento di preghiera e di stima, vi saluto. Mario Delpini, arcivescovo. 

Il realismo della pace Contro la legge della giungla serve il realismo della pace

E’ quanto sostiene l’arcivescovo di Torino, Roberto Repole. In troppi parlano di guerra, della impellente necessità di prepararsi al conflitto, se vogliamo vivere in pace dobbiamo armarci. Un modo di pensare vecchio come il mondo. A cosa ci sta portando? Credo sia molto più necessario parlare il più possibile di pace, credere nel dialogo, rispettare la dignità di tutti, anche di chi teniamo ai margini della società, non nascondersi dietro le ingiustizie, non far prevalere la legge del più forte. La politica delude, si inchina al più forte, si inchina al potere dell’economia, del benessere personale, neanche si preoccupa di tutti i cittadini dimenticandosi dei più problematici. Siamo sicuri che è ciò che la gente desidera? Un passaggio dell’intervento del cardinal Repole alla ”Biennale Democrazia” di Torino. Gli eserciti stanno tornando ad armarsi, si respira grande rassegnazione alla guerra e stiamo imponendo questa rassegnazione ai nostri figli con totale mancanza di amore. I giovani non vogliono la guerra, sperano di avere un futuro. Che cos’è poi la guerra? La storia di ragazzi uccisi in giovane età, quella di madri e padri che portano per tutta la loro esistenza il trauma di un figlio morto, figli che non conoscono i genitori, amputazioni nel corpo e amputazioni nell’anima di migliaia di persone, rabbia, odio e desiderio di vendetta che genereranno ulteriori guerre... Questa è la guerra. Conviene non dimenticarlo. dt.

Ri(flessioni). 

1. Suicidi in carcere Ancora suicidi in questa ultima settimana. Troppi. E ancora nessuna credibile risposta dai politici. Solo le solite parole di circostanza, che, in quanto ripetitive, suonano false. Carcere di Marassi, Genova: la scorsa domenica mattina è stato trovato impiccato in cella un uomo di settant’anni, italiano. Carcere di Trieste: un giovane egiziano, Walid Mohamed Saad Mohamed, non ancora trentenne si è tolto la vita, impiccandosi nella sua cella, mentre era in isolamento. Carcere di Avellino: un uomo, italiano di quarantotto anni, si è impiccato, anche lui nella cella di isolamento. Ormai sono ventiquattro le persone che si sono tolte la vita in carcere dall’inizio di quest’anno. Tragedie a cui non ci dovremmo mai abituare. Al contrario, vergognarci e chiedere perdono. Oltre che agire. 

2. L’osceno potere Kristi Noem, statunitense, segretaria alla Sicurezza, ha pubblicato la foto di gruppo di venezuelani deportati dagli Stati Uniti, lo scorso sedici marzo, nonostante il parere negativo di alcuni giudici, e rinchiusi in una cella di El Salvador. Nella foto si vede una maxi-cella in cui sono ammassati 238 venezuelani, senza maglietta e con la testa rasata, e in primo piano lei, Noem Kristi, con un cappellino rosso in testa, sempre di moda tra gli americani. Messaggio comunicato: «Se venite nel nostro Paese illegalmente, finirete così». Mi sembra qualcosa di fortemente osceno, irrispettoso e indegno. 

3. I frutti della guerra Purtroppo la tregua a Gaza è stata interrotta. Novecentoventuno morti in poco più di dieci giorni e oltre duemila feriti. Questi sono i frutti della guerra che renderanno sempre più difficile raggiungere un futuro di pace. Favoriranno invece ulteriore odio e desiderio di vendetta, che prima o poi sfoceranno in altre violenze, in una spirale sempre più difficile da interrompere. 

4. Cpr, costosi e illegali Una ventina di associazioni umanitarie, impegnate nel campo delle migrazioni e riunite attorno Il Tai (Tavolo Asilo e immigrazione) da tempo ormai denunciano che i Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) sono strutture, costose, inefficienti, illegali, luoghi dove non si rispettano i diritti umani fondamentali. E’ anche abbastanza inutili perché sono pochi i migranti poi effettivamente rimpatriati, meno della metà. Trattenuti anche senza aver commesso reati. Ora si vorrebbe, almeno in parte, riconvertire i due centri costruiti in Albania, che finora sono serviti solo a spendere circa un miliardo di euro, in un nuovo Cpr. Si vuole coprire un fallimento con un altro fallimento. Occorrerebbe molta più prudenza. dt

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