Numero 6/25 9 febbraio 2025 V domenica del Tempo Ordinario Settimanale di varia umanità carceraria C.C. di Monza




Ogni settimana riceviamo dal cappellano del carcere di Monza Don Tiziano Vimercati contributi "del tempo ordinario, settimanali di varia umanità" che vengono letti ai detenuti durante la messa della domenica. Abbiamo deciso di pubblicarli sul nostro blog perché riteniamo siano ulteriori testimonianze della vita carceraria.

Prendi il largo Due barche piene di pesci, pescati dopo una notte infruttuosa, non è roba da poco. Ma presto tutti quei pesci sarebbero terminati. E di nuovo si dovrà passare la notte gettando le reti. Sperando che abbocchino, se non proprio da riempire due barche, almeno per garantire il sufficiente per vivere. Penso a un mio amico pescatore (per diletto). Il suo volto è raggiante quando torna con un numero incredibile di pesci (poveri pesci). Abboccavano che era una meraviglia, fin troppo facile. Condivide poi con parenti e amici il frutto della pesca fortunata. Quando però torna a mani vuote sul volto si legge la delusione e il fallimento. Oggi proprio non avevano fame, quindi la colpa è dei pesci; ma in fondo pensa anche di non essere stato abbastanza bravo e che ha sbagliato qualcosa. Questo era lo stato d’animo di quei pescatori che insieme a Simone avevano faticato tutta la notte senza prendere nulla, e che ora stavano tristemente riassestando le reti, come ci racconta il vangelo di oggi (Lc 5,1-11). Per quanto delusi da una notte infruttuosa, per quanto preoccupati perché probabilmente avrebbero avuto qualche problema per mettere qualcosa nel piatto a moglie, figli, madri e suocere, per quel fastidioso pensiero di aver fallito nella notte appena trascorsa, sembra esagerata la conclusione del vangelo. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. Cosa ha dato così tanto coraggio da lasciare tutto e seguire un uomo, non del tutto conosciuto e che poteva essere stato solo un po’ fortunato, diciamo che gli è andata bene, nonostante l’incompetenza in fatto di pesca? Cedere al pessimismo, lasciarsi andare, perdere ogni iniziativa, dire “tanto non cambierà mai niente”, non ci fa bene, non ci porta a nulla. In un certo senso ci mette un po’ al sicuro, così come chi cerca riparo dai pericoli cercando un rifugio, che non è mai del tutto sicuro, e comunque i pericoli rimangono. Ricominciamo a vivere quando scopriamo che ne vale la pena, che c’è qualcosa di grande che le può dare senso, che anch’io, con i miei limiti e miei peccati, posso puntare in alto. Come dice il vangelo: Prendi il largo... Non sono stati quei pesci che hanno riempito le barche ad aver cambiato la vita a quel gruppo di pescatori, ma aver capito che con Gesù avrebbero fatto grandi cose. dtiziano

La mia esperienza in carcere come ebreo insieme a detenuti islamici. Quando sono entrato in galera non sapevo come sarebbe stato, non ci ero mai entrato, mi sono reso però conto abbastanza presto del fatto che almeno un terzo dei miei compagni di detenzione in sezione, se non in certi momenti addirittura metà, erano stranieri, in grande maggioranza provenienti da Paesi del Maghreb: tunisini, algerini, egiziani, e soprattutto marocchini, insomma quasi tutti musulmani. E per me, ebreo, questa convivenza avrebbe comportato e ha effettivamente comportato significativi passaggi di presa di coscienza e di consapevolezza, che non erano scontati. Ovvio che non sono andato in giro di cella in cella con un cartello con su scritto "sono ebreo", ma non mi sono mai nascosto, né avevo intenzione di farlo in carcere. Forse questo sarebbe stato scontato invece: evitare dichiarazioni, evitare occasioni di possibile confronto su temi come la Palestina, Israele, etc. omettere dettagli o informazioni personali inutili. Un po' mi sono attenuto a questo codice di comportamento, ma non volevo nemmeno rinnegare me stesso, la mia storia, le mie origini. Già l'essere in carcere denota una negazione dell'espressione della personalità, una costrizione degli spazi di vita, autolimitarsi in carcere è la regola. Invece, pian piano, chiacchierando, conoscendo i tanti ragazzi e uomini di fede islamica, mi sono trovato in una comunità in cui l'essere "umani" costituiva in fondo la sola ed unica caratteristica. Il mio barbiere di fortuna era un marocchino; chi mi consegnava il vitto all'ora dei pasti veniva dall'Algeria; il mio compagno di partite a carte era di origine tunisina. E con loro ho cominciato anche a parlare di questioni politiche, della infinita questione israelo-palestinese, della Shoà, della Jihàd. Non era scontato che trovassi voglia di capire, tra mille spigolature, tra le tante pieghe delle storie di ognuno, e trovare piuttosto qualcosa da condividere invece che ciò che ci potesse dividere. Non scontata era l'accoglienza, all'interno di un carcere, di un ebreo tra musulmani. Per carità, forse anch'io non sono l'ebreo che per stereotipo ci si aspetta di incontrare... in questo il carcere è stato un momento di straordinario arricchimento umano: pur nelle difficoltà, pur tra tanti limiti, ostacoli, anche incomprensioni e perfino qualche volta ostilità, alla fine il dato di comune destino e il livellamento che la detenzione provoca hanno prodotto un risultato positivo. Posso dire di aver incontrato persone di fede islamica e fortemente anti-israeliani che però hanno visto in me anzitutto l'uomo, uguale a loro, e non l'ebreo - e spesso si fa confusione tra israeliano e ebreo, che non sono sinonimi. Per parte mia, di contro, ho colto il genuino bisogno di conoscenza, la curiosità di sapere, il sentimento profondo di odio che le contrapposizioni politiche, economiche, militari possono suscitare, e ho toccato con mano quanto sia indispensabile invece trovarsi e parlarsi, aprirsi e cercare di capirsi. In fondo, per noi ebrei c'è sempre stato questo tragico destino di essere rifiutati, respinti, isolati e diventare il bersaglio prediletto per sfogare le tensioni sociali altrui; ma troppo spesso ci siamo noi stessi isolati, posti nel ghetto, autocommiserandosi. Invece, mischiandosi, facendoci conoscere gli uni gli altri, facendo esperienza degli uni e degli altri, vicendevolmente ci si accetta e anzi ci si ritrova amici. en.

Situazione attuale nelle carceri italiane 


Alcuni dati circa la situazione attuale nelle carceri italiane (da Avvenire). Dieci i suicidi di detenuti dall’inizio dell’anno, mentre in tutto il 2024 ce ne sono stati 90, mai così tanti nella storia recente del sistema penitenziario italiano. Gli ultimi tre decessi sono avvenuti lunedì e martedì scorsi a Livorno, Napoli Poggioreale e Modena, ma per alcune di queste morti le cause devono ancora essere accertate, come per altri 14 casi. Le carceri continuano a scoppiare, come dimostrano gli ultimi dati del Garante Nazionale delle persone private della libertà: i numeri relativi al 10 gennaio 2025, seppur stabili nel confronto coi mesi precedenti, confermano un “surplus” di oltre 10mila unità rispetto alla capienza regolamentare: erano presenti a quella data, infatti, nei 190 istituti di pena operanti sul territorio nazionale, 61.852 reclusi. L’indice di sovraffollamento, quindi, è del 132,05%. Gli stranieri dietro le sbarre sono circa un terzo (19.703) mentre, in totale, i condannati con sentenza definitiva risultano 42.061, gli altri o sono in attesa di primo giudizio o dell’esito di un ricorso. E continuano ad aumentare le aggressioni (668 nel 2024, cinquanta in più dell’anno precedente) e gli atti di autolesionismo (12.896, ovvero 514 in più). Cresciute anche le manifestazioni di protesta collettiva, come scioperi della fame o della sete, rifiuti di vitto o terapie, astensione dalle attività, percussioni rumorose di cancelli e inferriate (sono state 579 in dodici mesi), rifiuto di rientrare nelle celle. Sette sono state invece le rivolte nell’anno appena trascorso (cinque in più del 2023). Nella Casa circondariale di San Vittore a Milano, il cui indice di sovraffollamento si attesta al 218,3% e dove, a detta del cappellano don Marco Recalcati, «la popolazione carceraria non è costituita da criminali o malavitosi conclamati ma all’80% da persone con fragilità sociali, che pescano nelle dipendenze, senza fissa dimora, stranieri soli, malati mentali” 

Così il Governo 

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio intervenendo in video all’inaugurazione dell’anno giudiziario dei penalisti italiani ha spiegato i programmi del Governo per il mondo carcerario come risposta al dramma dei suicidi. “I suicidi in carcere sono un fardello di dolore al quale cerchiamo di rimediare ogni giorno. Abbiamo un piano carceri elaborato con la presidenza del Consiglio che consentirà di colmare questo gap. Entro due anni abbiamo già previsto, con il commissario straordinario, di istituire 8 mila posti nuovi in carcere.

Ri(flessioni). 

1. Morti in carcere Carcere di Livorno: la mattina di martedì 4 febbraio, Manuel Morgon, livornese, è stato trovato morto in cella. I due compagni che condividevano la cella non si sono accorti di nulla. Carcere di Modena: un giovane marocchino di 27 anni, con problemi psichiatrici e legati alla droga, è stato trovato morto nella cella. E’ il quarto detenuto a morire nel giro di un mese in questo carcere. Per due casi il motivo e stato il suicidio, per gli altri due saranno le indagini che cercheranno di stabilirlo. In ogni caso altri quattro fratelli se ne sono andati, ancora troppo giovani e con tanto dolore sulle spalle. 

2. E’ solo una bambina Una vicenda oscura, inquietante, con probabili gravi omissioni: una bambina data in sposa a soli 12 anni, per due volte incinta e per due volte abortisce, diventata madre a soli 14 anni. Finalmente qualcuno si accorge di quanto sta subendo questa bambina. Ora si trova in una casa famiglia protetta. I responsabili dovranno vedersela con la giustizia. Credo però che in un paese civile tutto questo non dovrebbe succedere. Nessuno sapeva, nessuno vedeva, nessuno ha preso a cuore la situazione, nessuno ha avuto il coraggio di denunciare e di andare a fondo? Domande scomode, che fanno male, perché smascherano le nostre ipocrisie.

3. L’inferno ad Haiti Haiti: la situazione di questa nazione sembra ormai fuori controllo. Numerose gang di criminali imperversano con troppa facilità seminando paura e morte. A pagare il prezzo maggiore, come sempre e dappertutto, sono i più poveri, soprattutto i minori. Da un rapporto dell’Unicef: l’arruolamento forzato di bambini nelle gang è aumentato dell’70%, trasformandoli così in delinquenti. La violenza sessuale sui minori è aumentata addirittura del 1000% Violentare un bambino, in qualsiasi modo, è un po’ come ucciderlo. C’è qualcuno a cui interessano questi bambini e per loro può fare qualcosa? 

4. Tratta degli esseri umani Parole di Papa Francesco in occasione della Giornata di preghiera e di riflessioni contro la tratta. Non possiamo accettare che tante sorelle e tanti fratelli siano sfruttati in maniera così ignobile. Il commercio dei corpi, lo sfruttamento sessuale, anche di bambini e bambine, il lavoro forzato sono una vergogna e una violazione gravissima dei diritti umani fondamentali. E’ vero che queste situazioni, se sappiamo tenere gli occhi aperti, dovremmo già conoscerle, eppure è come ricevere una pugnalata al cuore. dt.

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