Numero 4/25 26 gennaio 2025 III domenica del Tempo Ordinario - Settimanale di varia umanità carceraria C.C. di Monza
Che farà Gesù?
Non certo come fanno di solito i politici con gli slogan elettorali ma sembra proprio che, nel vangelo di oggi (Lc 4,14-21), anche Gesù presenti il programma per la missione che sta iniziando. Si trova a Nazaret, il paese dove è cresciuto, entra nella sinagoga, legge il rotolo delle scritture, un brano del profeta Isaia, e conclude con una affermazione che scandalizza i suoi compaesani, ma che con chiarezza rivela ciò che farà. Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore. Ciò che scandalizza non è la lettura di questo brano di Isaia ma ciò che alla fine Gesù afferma: Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato. Gesù sta dicendo che questo è l’atteggiamento di Dio che ci considera tutti suoi figli e che, come un buon Padre, si preoccupa dei più bisognosi. Ci dice che in Lui si compiono le promesse, le attese millenarie di un popolo, che l’anno di grazia è stato proclamato, che per i poveri c’è un lieto annuncio. Gesù si è posto decisamente dalla parte degli ultimi, di coloro che ai suoi tempi, e ancora oggi, non sono tenuti in considerazione. Uomini e donne che contano poco, spinti ai margini della società, magari dopo essere stati sfruttati, visti come un peso da sopportare e se possibile da eliminare. Neanche Gesù è riuscito a realizzare pienamente il suo programma, però non ha mai affermato di poter cancellare la povertà con qualche decreto di legge. Ha fatto una scelta, cui è stato fedele, che dovrebbe aiutarci a capovolgere il nostro modo di agire. Facciamo qualche esempio, tanto per capire meglio. Mc 12,38-44: non i ricchi che gettavano tanti soldi nel tempio ricevettero le lodi di Gesù ma una povera vedova che donò solo due spiccioli, poca roba. Lc 3,32: si farà più festa in cielo per un peccatore pentito che non per tanti altri che credono di non averne bisogno. Mt 22, 1-14: gli invitati al pranzo di nozze saranno esclusi, i mendicati cercati e accolti. Scelte che Gesù ci ha chiesto di condividere: se Lui, Signore e maestro, ha lavato i piedi e si è fatto servo di tutti, noi che facciamo? dtiziano.
La prigione è una Chiesa
Don Primo Mazzolari (1890 – 1959), sacerdote cremonese,
carismatico e profetico, ha lasciato un segno profondo nella storia della
chiesa. Ha anticipato intuizioni e scelte che furono poi attuate dal Concilio
Vaticano II. In questo testo, pronunciato nel lontano 1940 durante una
conferenza, don Primo rivela il suo amore per gli ultimi, per i carcerati in
particolare, con parole che ancora oggi sono del tutto condivisibili.
Non è forse
una debolezza la misericordia? L’uomo non deve vergognarsi di avere «pietà»? Vi
son dottrine disumane che vorrebbero cancellare questo sentimento dal cuore
dell’uomo, accusandolo di svilire l’uomo. Vi presento una creatura, una povera
creatura, basta essere uomo per essere un pover uomo. Vi accostate il cuore,
sentite un altro cuore battere, è vicino, è vostro, è come il vostro. Ecco la
misericordia. Com’è facile, com’è grande. E se volete vedere il Misericordioso
al quale state per assomigliare in questo gesto di semplice simpatia umana, è
Cristo
Chi conosce il prigioniero? Il condannato? Sofferenze privilegiate e sofferenze dimenticate. Il giudice quando l’ha giudicato ha finito il suo compito e l’affida al potere penale. L’avvocato dirà l’ultima parola di conforto: soffrirà se avrà creduto alla sua innocenza – l’intimo affanno durerà qualche giorno – poi: altre cause, altri affari, così è la vita. Il cancello della prigione si chiude: la barriera è alzata, impenetrabile, sicura (Società puoi stare tranquilla) nonostante la parola di Cristo: «Ero prigioniero e non m’hai visitato» (Mt 25,43). Un prigioniero – un’esperienza lontana. Vorrei essere stato in prigione – aver provato la condanna degli uomini – la solitudine senza innocenza ecc. Invece, avete davanti «un galantuomo». Che strano suono mi dà questa parola in questo momento! Lo stupore di essere libero, di potermene tornare stanotte alla mia parrocchia, di aver le mani senza manette…
Cos’ho fatto
di meglio di quelli che sono dentro? Voi pensate: ora fa della retorica. Vi
dico di no, signori, mi vergognerei di fare la commedia. Il pubblicano che in
fondo al tempio si batte il petto non fa della retorica. Si conosce e si
dichiara (Lc 18,13). Io mi conosco e mi dichiaro con stupore: perché non sono
anch’io dentro? È quindi dall’interiore della mia dignità di giudicato, di
galeotto che vi parlo. Prendo il mio posto vero. (S. Vincenzo si sostituisce a
un galeotto vero). Vi parlo dal di dentro: sono anch’io un prigioniero, un
condannato. Il prigioniero? Chi è? Non lo domando al codice, non lo chiedo ai
giudici, non lo domando all’opinione dei benpensanti. Sono opinioni che non mi
interessano. Lo domando al Vangelo: «Ero prigioniero…». Non disse: ero ricco,
ero galantuomo, ero felice… Un Cristo che ha fame, sete, ignudo, malato,
pellegrino è meno «infamante» di un Cristo «prigioniero». Anche un Cristo
«crocifisso». Anche morire è meno «infamante». La prigione è una Chiesa, una
Presenza, un Tabernacolo, dove ognuno può incontrare, vedere il Cristo.
Separazione delle carriere
Il 16 gennaio la Camera ha approvato il disegno di legge, presentato dal governo Meloni, che propone di modificare la Costituzione e introdurre la separazione delle carriere dei magistrati. Nonostante gli squilli di tromba del ministro Nordio e di molti esponenti politici dell'attuale maggioranza di governo, niente per il momento cambierà, il percorso parlamentare della riforma è ancora lungo: essendo un disegno di legge di riforma costituzionale, deve essere approvato due volte sia dalla Camera sia dal Senato. In Italia i magistrati possono svolgere due funzioni: quella giudicante e quella requirente. In un procedimento giudiziario, i magistrati giudicanti svolgono la funzione di giudice, mentre quelli requirenti corrispondono ai pubblici ministeri (i cosiddetti “Pm”), e rappresentano l’accusa. In base alle regole attuali, tutti i magistrati seguono lo stesso percorso formativo e nel corso della carriera possono decidere di cambiare funzione, passando dal ruolo di giudice a quello di Pm fino a quattro volte. Questa opzione è però stata scelta da una piccola parte di magistrati. La riforma costituzionale presentata dal governo propone di separare le carriere dei magistrati requirenti da quelli giudicanti: in questo modo, ogni magistrato dovrà scegliere all’inizio della propria carriera se assumere il ruolo di giudice o quello di Pm, senza la possibilità di cambiamenti successivi. Secondo i sostenitori della riforma, il divieto di passaggio da una funzione all’altra garantirebbe una maggiore indipendenza dei giudici. A detta loro, un magistrato che per anni si è occupato di formulare l’accusa nei processi, nel ruolo del Pm, rischierebbe di non essere imparziale nel caso in cui passasse alla funzione di magistrato giudicante. Secondo i critici della riforma, invece, la separazione delle carriere contribuirebbe a indebolire i magistrati stessi, esponendoli a una maggiore influenza del potere politico. Che riflessi positivi potrebbe o dovrebbe avere sulle condizioni del sistema penitenziario? Nessuno. Come è stato per il cosiddetto "svuota carceri" o per altri provvedimenti annunciati, si tratta del solito chiacchiericcio politico su qualcosa che non impatta concretamente sulla vita dei comuni cittadini (dentro e fuori il carcere). En
2. Una spiegazione paradossale Una prima spiegazione per la liberazione lampo di Almasri è quella fornita dal ministro dell’Interno Piantedosi: è stato rilasciato per poi essere rimpatriato a Tripoli, per urgenti ragioni di sicurezza, con mio provvedimento di espulsione, vista la pericolosità del soggetto. Quindi rilasciato perché pericoloso. Ma è proprio per questo che è ricercato a livello internazionale. Adesso che faremo: se chi è pericoloso sarà rilasciato, in carcere metteremo le persone buone e inoffensive?
3. Un po’ di pietà Il presidente Trump, coerente con quanto promesso in campagna elettorale, ha iniziato la deportazione dei migranti irregolari (terribili le foto dei migranti incatenati imbarcati su aerei militari). Dichiarazione del presidente dei vescovi americani: Prendersi cura di immigrati, rifugiati e poveri fa parte dello stesso insegnamento della chiesa. Forti le parole del vescovo della diocesi episcopaliana della capitale, una donna, Marianne Budde, pronunciate alla presenza del presidente: Le chiedo di avere pietà, signor Presidente, di coloro nelle nostre comunità i cui figli temono che i loro genitori vengano portati via, e di aiutare coloro che fuggono dalle zone di guerra e dalle persecuzioni nelle loro terre a trovare compassione e accoglienza qui. Trump non ha gradito e ha pronunciato parole sprezzanti. dt
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