Numero 33 - 25 dicembre 2024 Natale del Signore Settimanale di varia umanità carceraria C.C.di Mon
Essenziali e sobrie le parole usate dall’evangelista Luca per descrivere la nascita di Gesù. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’albergo. San Francesco, per meglio far comprendere alla povera gente il mistero del Natale, mise una statuetta del bambino Gesù tra un bue e un asino veri, in una stalla, nella santa notte, durante la solenne celebrazione. Tutti capirono. Di cosa abbiamo bisogno oggi per capire e aiutare a capire il mistero del Natale? Forse meno di una volta ma qualche presepe lo si vede ancora nelle case, di sicuro in ogni chiesa, qui in carcere ne vedo tanti, ogni sezione ha il suo. Costruire un presepe esprime il desiderio di far parte in qualche modo di quel mistero affascinante della nascita di Gesù, di una bellezza che conquista, ci dice qualcosa che ci riempie il cuore, un mistero in cui ci sentiamo accolti, anche se pensiamo di non meritarcelo. Forse non sono solo i bambini lasciarsi incantare dalla bellezza del presepe. Ce ne sono di tutti i tipi, alcuni improbabili eppur veri: tradizionali, moderni, artistici, in ferro, in plastica, con il riso o con la pasta, attualizzati, minuscoli, in movimento. Questi presepi dicono quanto il Natale sappia raggiungere il cuore di molti. Eppure penso che ancora oggi sia ancora la semplice scena della nascita, così come è descritta dal vangelo, quella capace di parlare in profondità al cuore di ogni uomo. Una nascita come quella di tutti in quei tempi, come per tanti ancora oggi: non in un ospedale, neanche in casa, pochi se ne accorgono, i problemi che in una famiglia povera una nascita porta con sé. Proprio qui sta la forza della nascita di Gesù, un uomo come tutti gli altri, uomo come noi, un Dio che condivide sul serio la nostra umanità.
Questo è il presepe che ancora oggi è capace di parlare agli uomini: un bambino che nasce nella notte, una madre felice per la gioia della maternità, un padre stordito e impacciato, e il mondo intero, tranne qualche pastore, che non si accorge di niente. Questo ci aiuta a non cadere nell’illusione di una fede rassicurante, fatta di certezze, di emozioni, di apparenze e ipocrisie. O, peggio ancora, di una fede che diventa potere. Come ha fatto san Francesco, è a un Gesù povero che dobbiamo inchinarci, un bambino che da subito è stato rifiutato, che privilegerà gli ultimi, non andrà a braccetto con i potenti, abbraccerà invece i peccatori e che addirittura è stato messo in croce. Dice il vangelo di Giovanni: Venne fra i suoi, ma i suoi non lo hanno accolto. Forse, oggi come allora, la scena del presepe è la stessa. Attorno a Lui, pochi capiscono, pochi sanno mantenere il cuore libero e puro come quello dei bambini, pochi intuiscono il mistero di un Dio che, nella povertà, diventa bambino. Attorno a questi pochi ce ne sono tanti altri che vivono superficialmente, senza lasciarsi mai mettere in discussione. Gesù continua ad essere presente tra di noi, anche oggi, nelle miserie che ci abbruttiscono, con tanti popoli che non godono della libertà, in un divario tra ricchi e poveri sempre più accentuato e vergognoso. E’ Natale, vorremmo solo pensare a cose belle, vorremmo solo che sia Natale ogni giorno dell’anno, che nessuno rovini la poesia che circonda questo giorno. Se Gesù ha scelto di abitare tra gli uomini, se ha conosciuto le miserie che ne rovinano l’esistenza, è perché vuol esserci vicino, perché non disdegna la nostra miseria, vuol essere nostro compagno di viaggio, in ogni situazione e per sempre. Ogni giorno è il tempo in cui Gesù si rivela: è sempre l’oggi di Dio perché ogni giorno è il tempo della sua presenza. Che noi possiamo accogliere o rifiutare. A quanti però l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio. Dtiziano
Segni di speranza Case per gli immigrati: un’impresa di costruzioni piemontese ha acquistato un palazzo per ricavarne case per i propri dipendenti immigrati. Un esempio che andrebbe seguito. Non possiamo pretendere di farli solo lavorare perché ne abbiamo bisogno. E’ una scelta egoistica. Vanno sostenuti nell’aiutarli a beneficiare di condizioni di vita umane e dignitose. Compresa la scelta di favorire i ricongiungimenti familiari. Queste le strade per una reale integrazione degli immigrati. E questo che porta a una maggior sicurezza. Quanto fatto dall’impresa piemontese è un segno di speranza.
Case per la gente. Il nostro vescovo Mario Delpini, durante la messa in occasione del 50° di fondazione della Caritas Ambrosiana, ha annunciato la creazione del Fondo Schuster per offrire un significativo contributo al problema della mancanza di case, che per molti rimane poco più di un miraggio. Ha dotato il Fondo di un primo contributo di un milione di euro, invitando privati e istituzioni pubbliche a collaborare con intelligenza e creatività per offrire un segno di speranza alla città.
Libertà. Mi chiamo Emanuele, ho 53 anni, per quasi due anni ho vissuto in prigione. Tra circa otto mesi tornerò in libertà. In carcere ho visto e toccato con mano la sofferenza, ho sposato il significato di attesa e di ansia perché loro sono diventate le mie compagne di viaggio. Ho dovuto imparare a difendersi dall'arroganza, dalla prepotenza e dall’ignoranza di chi qui dentro si sente qualcuno, da chi si sente più speciale, di qua e di là delle sbarre... Oggi è un giorno particolare, mi scarcerano: ieri ho avuto l’udienza per la concessione dell’affidamento, magistrato e Pm favorevoli, il mio percorso in carcere è stato “esemplare” e merito dunque di uscire... Nella camera che per tanto tempo ho condiviso con perfetti estranei che sono diventati a me familiari, vado in bagno, raccolgo le mie cose, guardo allo specchio i miei occhi. La luce che vedevo prima del mio arresto si è spenta da molto ormai, perfino oggi che sto per uscire, come se mi dispiacesse un po’. I tratti del mio volto sono cambiati. Sono più vecchio, più uomo, e consapevole che tra poco sarò libero. Dopo anni, paradossalmente ho paura. Una grande paura. Sì perché lì fuori, non c’è nessuno che mi verrà a prendere. Né mia madre, né mio padre, né una moglie o dei figli. Né parenti o amici. Dimenticati ormai da troppo tempo, volutamente cancellati dalla mia mente... La privazione della libertà, che è la vera condanna, la si comprende davvero proprio nel momento in cui la si riacquista. Chi e cosa mi aspetta lì fuori? Una speranza, una nuova vita forse? Sto ricominciando tutto da capo, cercando chiaramente di non sbagliare più. La vita per me è stata a volte dura e difficile ma non rimpiango niente. Ho avuto tanto e ho dato tanto. Ora mi sento un sopravvissuto. Dedico questo pensiero a coloro che mi hanno aiutato qui dentro, augurando loro di trovare tutto quello che desiderano fuori di qui, perché ho capito che anche all’inferno si possono trovare grandi uomini. en.
Sospensione
della pena di morte. Papa Francesco ha più volte
invocato la sospensione della pena di morte. Lo ha ricordato anche in occasione
del prossimo Giubileo. Il presidente, ormai uscente, degli Stati Uniti, ha
commutato la pena capitale in ergastolo a 37 detenuti che si trovano nel
braccio della morte, nelle prigioni federali. Non fraintendetemi: condanno
questi assassini, piango per le vittime dei loro atti spregevoli e condivido il
dolore delle famiglie che hanno sofferto perdite irreparabili, ha detto
Biden. Ma, guidato dalla mia coscienza e dalla mia esperienza, sono più
convinto che mai che dobbiamo abolire l'uso della pena di morte a livello
federale.
Ri(flessioni).
1. Suicidi in carcere La scorsa settimana, purtroppo, altri due suicidi in carcere. Il primo a Viterbo: un giovane di soli 23 anni si è impiccato alla finestra della cella, nel cuore della notte Il secondo ad Alessandria: un uomo, italiano, di 50 anni si è tolto la vita in cella, impiccandosi. Sono ormai 87 i suicidi accertati in carcere dall’inizio dell’anno. Non è mai stato raggiunto un numero così alto Se pensiamo che anche uno solo è troppo! Anche il numero di decessi in carcere, per altre cause, è quasi di 250. Troppa disperazione e poche luci di speranza nelle carceri italiane. Ormai il silenzio e l’assenza di provvedimenti efficaci da parte di chi ha il dovere di intervenire sono sempre più insopportabili e scandalosi.
2. Libertà. Ha
scritto Jumana Hassan, sopravvissuta al carcere di Sednaya a Damasco: “Per
qualsiasi detenuto, lasciare il carcere è un momento che le parole non possono
descrivere. Si prova un misto di shock, gioia e confusione. Forse ho bisogno di
più tempo per capire cosa è successo davvero, ma ora mi rendo conto che la
libertà, comunque sia arrivata, è il miracolo che tutti stavamo aspettando”.
Parole che valgono per qualsiasi detenuto di qualsiasi Paese. gd.
3. No ai preti in armi In Ucraina l’arcivescovo della chiesa greco-cattoloica, mons Sviatoslav Shevchuk ha espresso parere negativo circa la possibilità di arruolare i preti nell’esercito. No ai preti in armi. Ai vertici dello Stato non chiediamo di avere privilegi, ma di comprendere che serviamo il popolo in un altro modo, non con le armi, parole dell’arcivescovo. Non si ritiene conveniente per un prete fare la guerra e imbracciare le armi. Se non è conveniente per un prete penso non lo sia per nessuno.
4. Preti coraggiosi Al posto di pregare per la vittoria della Russia contro l’Ucraina numerosi preti ortodossi hanno pregato durante le liturgie per chiedere il dono della pace. Circa 160 preti coraggiosi hanno firmato un appello pubblico per la pace. Ci ricordano che odio e rancore continuano a crescere e che questo porterà a nuovi conflitti, perché la pace non si raggiunge con le guerre (è una storia che si ripete da troppo tempo). Sono stati rimossi dai loro incarichi dal Patriarca ortodosso di Mosca, hanno perso ogni tipo di sostentamento economici. Preti coraggiosi perché scelgono di seguire la propria coscienza, sempre e comunque, e non se ne stanno comodi in casa a riposare. Hanno pagato di persona. dt.
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