DENTRO - FUORI Numero 30 - 1 dicembre 2024 Prima domenica di Avvento - Settimanale di varia umanità carceraria C.C.di Monza

 



Avvento, tempo di speranza. 

Tutti considerano la vita come un cammino, che può essere splendido e meraviglioso ma anche triste e doloroso. Per alcuni è un cammino senza alcun sbocco, ci attende solo il nulla. Per altri c’è una meta da raggiungere capace di dare un senso all’intero cammino, dove è necessario non perdere di vista né la meta né la voglia di camminare. Sembra però che siano tante le distrazioni che subiamo. Troppe cose ci sono proposte come indispensabili, cose di poco valore capaci però di soppiantare quelle importanti. Siamo avidi di notizie, abbondano i giornali, alcuni tra l’altro specializzati in pettegolezzi. Siamo perennemente in attesa di notizie, da quelle più banali a quelle più serie e degne di nota. Che tempo farà domani? Cosa trasmettono questa sera in televisione, chi vincerà nel derby che deciderà dello scudetto? Cosa è successo oggi in Ucraina, a Gaza, in Libano, quanti morti? Nel mediterraneo qualche altro naufragio di migranti? Un altro suicidio in carcere? Qualche altra rissa tra ragazzi molto giovani dove sono spuntati i coltelli e qualcuno ci ha lasciato la pelle? In fondo però, a tutte queste notizie, ci abbiamo fatto l’abitudine. Ci rimane forse solo un po’ di curiosità. Non aspettiamo più niente e nessuno che possa veramente cambiare la nostra vita, qualcosa che ne possa davvero modificarne il corso. Ci siamo abituati a un certo stile di vita, sempre le stesse preoccupazioni, le stesse evasioni, la stessa monotonia. Non lo so se alla fine saremo contenti o meno, ci stiamo dentro e basta. Abbiamo però paura che accada qualche disgrazia a noi, ai nostri familiari, alla nostra comunità, questo sì che ne potrebbe modificare il corso (ma non lo attendiamo, ne abbiamo solo paura). Oggi la Chiesa, invece, una speranza che può cambiare il corso della vita ce la offre. In questa prima domenica di avvento leggiamo queste parole del vangelo di san Luca: Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. Alziamo lo sguardo per vedere la gloria di Dio, il ritorno del Figlio dell’uomo: un Dio che si fa presente nella storia dell’umanità, nella vita di ciascuno di noi. Questa è la speranza che può cambiare la nostra vita: sapere di non essere soli, che, magari lentamente e con fatica e contraddizioni, possiamo vivere nella sua Parola, nella bellezza del vangelo, protesi verso il bene, sempre più lontani dal male, e nella certezza che ci incontreremo con Lui, il Signore Gesù. Avvento: tempo dell’attesa e della speranza, ma anche della gioia per una presenza che già ci riempie la vita. dtiziano.

Non si ferma la piaga dei suicidi in carcere

Siamo costretti a parlarne ancora. Si muore in carcere e, purtroppo, se ne parla sempre meno. Come se ci fossimo ormai abituati. Non passa settimana senza che qualcuno si tolga la vita. Con gli ultimi due suicidi siamo ormai giunti a 83 dall’inizio dell’anno. Un ragazzo di 27 anni nel carcere di Cagliari e un uomo di 44 a La Spezia. Dobbiamo ricordarli questi nostri fratelli, di cui ancora non sappiamo il nome, ma intuiamo la profonda sofferenza e la disperazione provate. Il ragazzo di 27 anni era in attesa di iniziare un percorso in comunità, certamente più adatto a Lui. Come tanti altri che troverebbero più benefici in comunità che non in carcere. Lo stesso ministro della Giustizia Nordio, sembra essere d’accordo: Sono stati previsti nuovi percorsi di comunità per detenuti affetti da disagi psichico o tossicodipendenti. Abbiamo più volte ripetuto che molti tossicodipendenti più che essere criminali da punire sono ammalati da curare. Non è di ieri questa affermazione ma si stenta a vederne gli effetti. La Garante dei detenuti della Regione Sardegna Irene Testa, che aveva incontrato più volte il ragazzo ventisettenne, ha scritto al ministro Nordio, esprimendo in modo schietto il suo disappunto e il profondo dolore: Abbiamo fallito tutti ed è inaccettabile che noi operatori a vario titolo dobbiamo sentirci in colpa a causa di un sistema che non funziona. Di un sistema che fa strage di diritto e di vite umane. Di un sistema che induce alla morte più che a riprendersi la vita. Non si può continuare ad assistere a questa carneficina quotidiana. E non dobbiamo essere noi operatori a chiedere scusa ma uno Stato assente e cinico che ha deciso di nascondere il disagio all'interno di contenitori oramai illegali che producono morte e disperazione. Mi rifiuto di accettare che il carcere produca morte anziché riabilitazione. Mi appello ancora al ministro della Giustizia affinché comprenda che ogni giovane che evade dal carcere togliendosi la vita è anche e soprattutto un suo fallimento. Mi ha colpito, nella storia di questo ragazzo, aver letto che la sua ultima volontà sia stata di voler donare gli organi. Un ragazzo che pensa, a soli 27 anni, a questo gesto generoso: forse aveva un inferno nel cuore che si trascinava da tempo e troppi non si sono accorti, e chi si è accorto non è riuscito a fare nulla. Impotenti di fronte alle tragedie che si consumano in carcere. Non solo, quel ragazzo ha voluto gridare a tutti che anche Lui era un uomo, che non era il reato che ha commesso, che c’era del buono in Lui e che se fosse stato aiutato adeguatamente lo avrebbe espresso. E’ stato il suo modo per gridare che aveva le qualità per essere migliore, che poteva farcela, e ricominciare una nuova vita. Quel gesto estremo ci rivela la disperazione di chi, pur avendo desideri belli nel cuore, ha l’impressione che nessuno, neanche quelli che lo vorrebbero, lo possano aiutare. Ma a questo non possiamo rassegnarci. dt.

Senza “bacchetta magica” ma con molto buon senso 

Renato Brunetta, più volte ministro e parlamentare di Forza Italia, oggi è il presidente del CNEL (Consiglio Nazionale per l’Economia e il Lavoro). Ha speso parole di limpida chiarezza e razionalità rispetto al bisogno di trasformare il carcere in qualcosa che sia utile a chi dentro ci sta, a chi sta fuori e a chi lo gestisce: “Dobbiamo usare le nuove tecnologie come ponte per collegare carceri e società civile. L’informatizzazione di tutte le carceri è la chiave di volta, perché significa maggiore efficienza burocratica-amministrativa ma anche nuovi luoghi dentro le carceri che fungano da catalizzatori di lavoro e di formazione. Pensiamo ai call center, privati ma anche della Pubblica Amministrazione. Portiamoli dentro il carcere! In tutte le 189 carceri che abbiamo in Italia. Se in tutto il sistema penitenziario avessimo un certo numero di addetti ai call center sarebbe un primo nucleo di efficienza e di produttività.” 



Su questo, il presidente Brunetta intende impegnare il CNEL a presentare un nuovo disegno di legge che introduca una riserva obbligatoria di servizi di call center della PA da attivare negli istituti penitenziari, per favorire il reinserimento occupazionale dei detenuti. E sul tema della giustizia e sanità penitenziaria, il presidente Brunetta ha rimarcato che “Fare ponti è una delle cose più belle. I ponti uniscono, portano comunicazione, ricchezza, scambi e quindi anche rispetto. Se applichiamo questa metafora al mondo del carcere tutto ciò assume un valore ancora più forte. en.

 

Maledetta droga 

Questa la definizione scientifica del fentanyl, la droga sintetica che sta facendo strage negli Stati Uniti, 75.000 morti per overdose ogni anno, cento volte più potente della morfina: Il fentanyl è un analgesico, appartenente alla classe delle 4-anilidopiperidine, oppioide prodotto da sintesi chimica. 100 μg di fentanyl (un microgrammo equivale a un milionesimo di grammo) equivalgono in attività analgesica approssimativamente a 2 - 5 mg di eroina e 125 mg di petidina, con una rapida insorgenza e breve durata d'azione. Il fentanyl rappresenta tuttora la droga più mortale al mondo, da quando ha superato l'eroina nel 2018. Infatti rappresenta la maggiore causa di overdose al mondo, ed ha un effetto dalle 30 alle 50 volte superiore all'eroina. 

Ri(flessioni).

1. No all’incontro sulla vita

Alcuni giovani hanno impedito che si svolgesse un incontro di testimonianza sul tema della vita nascente durante il convegno: Accogliere la vita. Storie di libere scelte. E’ accaduto presso l’università Statale di Milano. Scene di grave inciviltà. Privazione della libertà di parola. Incapacità anche solo di ascoltare le ragioni degli altri. Soprattutto di ascoltare le legittime scelte di vita degli altri. In un luogo, la scuola, dove il dialogo dovrebbe essere cosa normale. Così ha detto Soemia Sibillo, direttrice del Centro di aiuto alla vita Mangiagalli: Non sono riuscita proprio a parlare, questo mi dispiace, non c’è stata neanche la curiosità di sapere cosa avrei detto: avrei portato la testimonianza delle mamme che incontriamo. Mi dispiace come occasione persa per i presenti di ascoltare direttamente da chi è coinvolto, da chi prende liberamente delle scelte, storie vere, non ideologiche.

2. Giornata contro L’Aids

Il primo dicembre è la Giornata mondiale contro l’Aids. Anche se ora, grazie ai farmaci, l’aspettativa di vita è molto alta, è una malattia che ancora fa paura. Gli ultimi dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità evidenziano un aumento delle nuove diagnosi di Aids, dopo vent’anni che invece si registrava una costante diminuzione. Poca prevenzione, troppa leggerezza nella facilità dei rapporti sessuali, sottovalutazione del pericolo? Forse tutte queste cose messe insieme. Non bisogna abbassare la guardia. Ne va della vita.

3. Social media vietati

In Australia il Parlamento ha varato una legge che vieta l’uso dei social media ai minori di sedici anni nella convinzione che non giovi alla salute fisica e mentale l’esagerato uso di tali strumenti. E’ vero, tutti sappiamo come possono essere usati male, anche da parte degli adulti. Non sappiamo ancora bene come usarli senza farci del male. Forse è usarli in modo corretto e intelligente che dobbiamo imparare, più che ricorrere a divieti difficili poi da far rispettare.

4. Mandato di arresto

 Non solo per Benjamin Netanyahu: la Corte penale Internazionale ha emesso un mandato di arresto per il capo della giunta militare al potere in Myanmar, Min Aung Hlaing, per presunti crimini contro l'umanità commessi contro la minoranza musulmana dei Rohingya. Il regime del Myanmar deve essere ritenuto pienamente responsabile di ogni vita innocente che ha distrutto. Così deve essere, sempre e per tutti. dt.


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