Antonetta Carrabs ci racconta il suo impegno nel sociale.

 



"Quando cammino nel cortile di cemento, in tasca non ho nulla, ma non sono solo, c’è sempre una luce che appare: è quella della Misericordia. Dio sa perdonare." ( L.Z.)
"Il mio impegno di poeta sociale mi ha fatto incontrare, in questi ultimi anni, molti bambini, anziani e persone in situazioni di sofferenza e fragilità. La poesia è sempre stata la strada maestra da percorrere, diventando spesso “canasta basica”, bene comune, poesia obiettiva, narrativa e aneddotica fatta con gli elementi del mondo reale e con cose concrete. Da alcuni anni incontro i detenuti del carcere Sanquirico di Monza con i quali ho avuto modo di sperimentare sia la poesia del verso libero, sia le tecniche di scrittura creativa, dando vita al corso di scrittura giornalistica e alla nascita di Oltre i confini, un giornale di 8 pagine che Il Cittadino di Monza e della Brianza pubblica con cadenza bimestrale, allegandolo al proprio quotidiano. Qui dentro, il cuore diventa denso come pece e il sangue si rallenta – scrive Patrik. La realtà carceraria è molto difficile e dolorosa e scrivere per i detenuti è vissuto come salvifico: “qui si diventa come un aereo di carta, fragile, che non può nemmeno cercare di volare. E allora si cerca di sopravvivere, ognuno con il proprio manuale di sopravvivenza: per prima cosa è salvarsi il cervello, altrimenti viene mangiato dall’afasia di questo mondo parallelo fatto da rettangoli e cucito da quadrati, ovunque; la seconda è congelare il cuore. Farlo battere a bassa frequenza altrimenti provoca un suono cupo, troppo forte da contenere per la propria pelle; la terza è difendersi dal condizionamento che è altra cosa rispetto alla rieducazione; la quarta è trattenere la rabbia perché la galera stanca e sfianca gli animi. (S. P.)
Molti di loro, come Patrik, per sopravvivere al dolore della carcerazione, mettono in atto veri e propri manuali di sopravvivenza perchè la convivenza è molto difficile. E allora capita che la sera, quando tutte le voci si stemperano nel silenzio, ognuno di loro si ritrova a fare i conti con il proprio passato. I ricordi riaffiorano dolorosi. Per molti di loro accade inspiegabilmente che la poesia e la parola scritta diventino ancore di salvataggio: la sera, quando arriva, è nera. Le voci si spengono, il silenzio stempera il cuore che non ce la fa a trattenere la solitudine. Capita un magone che leva il respiro. Dalla mia finestra riesco a intravedere un tratto di superstrada. Guardo le luci delle auto sfrecciare e immagino diverse solitudini.
Qui dentro si vive un tempo congelato ed è necessario, per sopravvivere, imparare a trattenere le emozioni. La parola scritta diviene paradossalmente un seme di libertà, difende e grazia. Scrivere è diventato per noi un bisogno primario ci aiuta a traghettare verso la vita libera forse con una maggiore consapevolezza di tutti quei valori che avevamo perduto e che oggi abbiamo ritrovato. Piovono ricordi. Le emozioni infioriscono d’improvviso, un manto di margherite piccole o quei fiorellini minuscoli azzurri che qui chiamano occhi della Madonna. Nella speranza che queste persone possano trovare, una volta conquistata la propria libertà, una società che le accolga e non le respinga, che sia inclusiva e favorisca il loro reinserimento sociale, riabilitando anime perdute. La libertà è l’unica speranza che tiene in vita queste anime recluse; hanno provato a descriverla in tanti modi: Se dovesse essere donna/sarebbe luminosa con gli occhi chiari/sorridente, seducente, ammaliante/una donna provocante. Se dovesse essere un luogo/sarebbe il cielo, con una stella luminosa/l'unica stella che brilla alle prime luci dell'alba. Se dovesse essere desiderio/sarebbe un fremito/la ricerca di un sorriso. Se dovesse essere dolore/sarebbe tempesta, costrizione/grido di ribellione alla solitudine del cemento.
E’ necessario raccontare la realtà carceraria perché è il modo per “umanizzarla” attraverso le tante storie di chi si è perso ed è pronto a ricominciare. “Ogni volta che entro in un istituto penitenziario mi domando perché loro e non io? Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare. La privazione della libertà è la forma più pesante della pena nel suo nucleo più intimo. Eppure la speranza non può venire meno (… ) occorre sempre avere la presenza della certezza di Dio, nonostante il male che abbiamo compiuto. Non esiste luogo del nostro cuore che non possa essere raggiunto dall’amore di Dio”. (Papa Francesco)
Quella speranza di cui parla il Papa è nel valore della riabilitazione, la strada alternativa alla pena detentiva."

Commenti

Post popolari in questo blog

ADOTTA UN VENTILATORE

Benvenuti su Oltre i Confini - Voci dal carcere