Settimanale di varia umanità carceraria C.C.di Monza Numero 21 – 29 settembre 2024 XXVI domenica Tempo Ordinario
Non glielo impedite Il fatto che oggi leggiamo nel vangelo è abbastanza semplice
da raccontare: un tizio, di cui non si sa nulla, scaccia i demoni, cioè fa del
bene, nel nome di Gesù. Ma, cosa inaudita, non è un apostolo, non è dei nostri.
Giovanni e gli altri apostoli si sentono in dovere di intervenire impedendo
all’uomo di continuare a fare del bene: Maestro, abbiamo visto uno che
scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva. Strano
questo atteggiamento ma allo stesso tempo piuttosto frequente e
spiegabilissimo. E’ strano perché Giovanni, l’apostolo prediletto e amato, non
avrebbe dovuto commettere questo errore. Perché ancora non conosceva bene il
cuore di Gesù, i suoi desideri, lo stile del suo agire? Ma è anche spiegabile
perché è il risultato delle inclinazioni meno nobili che troppo spesso trovano
dimora in noi. Giovanni soccombe alla tentazione di sicurezza che il gruppo
offre, alla ristrettezza di mente e un po’ anche all’invidia. Sicurezza che dà
l’appartenenza a un gruppo (anche quando è cattivo e malavitoso): uno si sente
sicuro quando sta, pensa e fa quello che fanno gli altri del gruppo. E vede
come nemico chi non ne fa parte, un nemico da combattere, se si può, o almeno
da neutralizzare. Niente di buono mi può venire da chi mi è nemico, da chi non
la pensa come me, da chi è di un altro partito, un’altra chiesa, un’altra
cultura. Non è così importante la verità delle cose, ma l’appartenenza al
gruppo. Se mi si chiede di dire ciò che non penso o fare una cosa che non
condivido, dico e faccio lo stesso ciò che mi è chiesto, non posso uscire dal
gruppo. Se sono un politico devo votare secondo le direttive del partito, non
proprio secondo coscienza. Un adolescente, quando è nel gruppo, arriva a
compiere azioni che da solo non avrebbe il coraggio, così come non ha il
coraggio di andare contro. Nel vangelo Giovanni dice: Non è dei nostri.
Brutta frase. Ristrettezza mentale. E’ assurdo pretendere di avere il monopolio
del bene e non capire che il bene, per fortuna, può venire da chiunque, da
qualsiasi parte. Se ci guardiamo attorno, con onestà e senza pregiudizi
scopriremo il bene anche in chi è lontano e sta fuori e il male anche in chi è
vicino, uno dei nostri. Il bene e il male non stanno solo da una parte o
dall’altra, ma attraversano e lacerano il cuore di tutti gli uomini. Non
glielo impedite, risponde Gesù, è tutta grazia il bene compiuto, da
chiunque arrivi, anche dai nemici. Dtiziano
Un nuovo commissario straordinario per l’edilizia carceraria E’ la risposta ai gravi problemi
legati al mondo carcerario, problemi che ormai conosciamo molto bene. Il
Governo ha nominato in questi giorni Marco Deoglio che rimarrà in carica fino
alla fine del 2025. Il suo compito: “Dovrà
provvedere alla realizzazione delle opere necessarie per far fronte alla grave
situazione di sovraffollamento degli istituti penitenziari” (nel decreto di nomina). Nello specifico dovrà
aumentare la capienza delle carceri italiane di settemila nuovi posti. Dunque,
costruzioni di nuove carceri. Mi sembra che questa sia la vera risposta del
Governo alle numerose criticità delle carceri. Non interventi radicali sulle
strutture già esistenti, non piani di indispensabile manutenzione ordinaria,
non veri e reali percorsi alternativi al di fuori delle carceri, non scelte che
tolgano dalle prigioni i sempre più numerosi malati psichiatrici per affidarli
a percorsi dignitosi e rispettosi della loro fragilità, lo stesso per i tossicodipendenti
dove c’è la volontà di inviarli in comunità ma non è chiaro come possa avvenire
in tempi ragionevoli, non incrementi significativi di personale: educatori,
medici, psicologi. Sembra che il carcere sia considerata l’unica risposta per
chi sbaglia, l’unica risposta anche quando chi sbaglia è in una situazione di
estremo degrado sociale e morale, o quando siamo in presenza di gravi disturbi
psichiatrici. Così si trasforma il carcere in un contenitore dove c’è di tutto
e tutto diventa più difficile per tutti. Anche per chi sta fuori, anche per chi
pensa di non aver nulla a che fare con il carcere. E’ meglio incontrare persone
che pur avendo sbagliato hanno pagato il loro debito con la giustizia, si sono
riabilitate attraverso percorsi positivi, che non persone che hanno sì pagato
il debito ma che si sono ulteriormente incattiviti. E poi, come reperire
settemila nuovi posti in tempi brevi? La costruzione di un nuovo carcere
richiede dai dieci ai venti anni. Che poi si riempirebbero in un attimo. E saremmo
da capo. dt.
L’arcivescovo
ricorda Youssef Barsom
Venerdì
20 settembre, a Milano, si è tenuta una commemorazione per il giovane Youssef
Barsom, morto in modo tragico in una cella del carcere di San Vittore. Aveva
solo 18 anni. Una morte che ha scosso, molto. Si vorrebbe che, almeno, Youssef
non sia morto invano. Eppure è proprio l’amara sensazione che si prova.
Velocemente ci si dimentica di tutto, ancora più in fretta quando ciò che
accade ci disturba e porta con sé troppo dolore di cui ci sentiamo un po’
responsabili. Rimane la speranza, purtroppo sempre più debole, che finalmente
ci si prenda cura dei più deboli, dei poveri, degli ultimi, anche di coloro che
sbagliano. Pubblichiamo il messaggio che l’arcivescovo ha inviato in occasione
della veglia.
Non posso essere presente stasera alla veglia che ricorda
Youssef, ma desidero condividere la preghiera, il ricordo, lo strazio. La morte
in carcere di un giovane uomo recluso in attesa di processo nel carcere di San
Vittore è uno strazio che porta alla ribalta della cronaca una vicenda segnata
da troppo dolore, troppa fragilità, troppa complessità. La vicenda drammatica
della sua vita, del viaggio compito per giungere in Italia, delle accuse per
cui era in attesa di giudizio dovrebbero svegliare una attenzione più corale e
più duratura. Si dovrebbe infatti evitare di rimuovere frettolosamente dalla
attenzione dell’opinione pubblica come notizia che viene subito cancellata
perché racconta una storia inquietante. Si dovrebbe evitare di attribuire
sbrigativamente colpe e inadempienze sulle persone che dirigono e lavorano in
carcere, in un sistema che è unanimemente riconosciuto insostenibile Si
dovrebbe evitare che una vita umana valga così poco. Youssef è anzitutto una
storia, e anche una fede. Viveva con orgoglio il suo essere cristiano,
appartenente alla Chiesa copta ortodossa. Mi permetto di porgere le
condoglianze alla sua comunità, oltre che alla sua famiglia, assicurando la
preghiera di tutti i cristiani ambrosiani. La sua salma sarà tumulata in
Egitto, in attesa del giorno della resurrezione. Chiedo a ognuno, qualsiasi
religione appartenga, di elevare una preghiera; rivolgo a ogni donna e uomo di
buona volontà un appello perché si rifletta, si avanzino proposte, si offrano
risorse affinché tutto il tema “carcere” sia affrontato e saggiamente corretto.
.
+ Mario Delpini, Arcivescovo
di Milano
Ri(flessioni).
1.Il Papa in Belgio Papa Francesco, in visita pastorale in Belgio, ha
affrontato il problema degli abusi nella Chiesa. Una piaga di cui pentirsi
amaramente. Una piaga di cui vergognarsi e chiedere perdono con le lacrime agli
occhi. E ora vigilare, stroncare questa piaga, curare le ferite delle vittime.
Prima di tutto viene il bene dei bambini, non la reputazione della chiesa...
dt.
2.
Immigrati utili. Se entri
nell’esercito ti diamo la residenza permanente. È l’offerta (lo denuncia
un’inchiesta del quotidiano israeliano Haaretz) dell’esercito israeliano agli
immigrati clandestini, soprattutto eritrei e somali. La guerra a Gaza, e ora in
Libano, si sta prolungando, i riservisti sono stanchi e vogliono tornare a casa
si in devono pur trovare altri soldati da mandare in guerra. Chi meglio di un,
molto ricattabile, clandestino? gd.
3. Cricket vietato. A Monfalcone è vitato giocare a cricket. Lo dice un’ordinanza
del Comune. Chi gioca paga una multa. Lo ha stabilito la vecchia sindaca
leghista. Così i 9.000 bengalesi venuti in città per lavorare nei cantieri
navali e appassionati di questo gioco non lo possono praticare. Perché? La ex
sindaca lo giustifica per la pericolosità del gioco. Ma, diversamente del
sindaco Pd di un paese vicino, non ha trovato nessuno spazio utile. Viva lo
sport che, come dice la retorica corrente, unisce i popoli. gd.
4.
Giappone: assolto dopo 46 anni nel braccio della morte. Dopo una lunga permanenza nel braccio della morte, ben
46 anni, l’ottantottenne Iawo Hakamada è stato assolto dalle accuse di
omicidio. All’epoca confessò ma dichiarò che la confessione fu estorta con la
tortura. Verrebbe da dire: finalmente, certo un po’ troppo tardi. Ma chi lo
ripagherà per quasi cinquant’anni passati in carcere con l’angoscia di essere
giustiziato da un giorno all’altro, e nessuno gli restituirà la vita che gli è
stata rubata
5.
Myanmar: condanne a morte La Giunta
militare che ha preso il potere in Myanmar ha condannato a morte cinque
oppositori, in un processo a porte chiuse, senza garanzie per gli accusati.
Persecuzione, prigione, pena di morte come strumenti di repressione per ciò che
dovrebbe essere il diritto alla critica e al dissenso. E’ sempre il tempo del
coraggio, di chi non si volta dall’altra parte cercando solo di sopravvivere.
6. Giacomo Gobbato: un nome da ricordare. Non si è voltato dall’altra parte
Giacomo Gobbato, il giovane che è intervenuto, insieme a un amico, per
difendere una donna aggredita, e che purtroppo è stato ucciso dall’aggressore.
Ricordarlo è già qualcosa ma ancora meglio se da Lui impariamo a non voltarci
dall’altra parte, anche se ci può essere un prezzo da pagare. dt
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