Numero 5 – 2 giugno 2024 Corpus Domini e mostra in ricordo del giudice Levatino a cura di Don Tiziano Vimercati



 

Un Dio che si offre

Festa del Corpo e del Sangue di Gesù. Fermiamoci un attimo perché queste sono parole grosse, impegnative, e misteriose. Anche perché Gesù fa riferimento a qualcosa di molto concreto, qualcosa che si può vedere e toccare, il suo corpo e il suo sangue: Prendete, questo è il mio corpo; questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti, così leggiamo nel vangelo di san Marco, nella messa di oggi. Prendete, dice Gesù: lo disse ai suoi discepoli di allora, pieni di paura, non tutti santi, non tutti fedeli, qualcuno pure pronto a tradirlo. Una storia che si ripeterà in continuazione durante i secoli: discepoli fragili, peccatori, qualche volta fragili ma anche santi, qualche volta solo peccatori, almeno ai nostri occhi. Ma sempre, e per tutti, si è rinnovata l’offerta che Gesù ha fatto di se stesso. In ogni tempo i discepoli di Gesù hanno sempre potuto ricevere il dono del Corpo del Signore Gesù. Il nostro rapporto con Dio è ricevere il suo dono: non l’uomo che offre qualcosa a Dio ma Dio che offre se stesso all’uomo. Prendete, dice Gesù a noi, oggi, a noi altrettanto fragili e peccatori. Non si tira indietro neanche con noi. E’ il suo desiderio di offrire se stesso, non un premio che dovremmo meritarci. Non siamo noi a donare qualcosa a Dio, come qualche volta erroneamente pensiamo di dover fare. Il suo donarsi è gratuito. E’ un donarsi che ci trasforma, capace di perdonare i nostri peccati, che ci avvicina a Lui, per renderci migliori e conformarci alla sua vita. Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi. Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati: queste sono le parole che pronunciamo durante ogni messa. Chi partecipa alla messa, alla cena di Gesù, si lega a lui, in qualche modo ne resta segnato. Ricordate l’episodio di Pietro quando, dopo l’arresto di Gesù, non ha il coraggio di stare vicino al Maestro, e lo rinnega per tre volte? Una serva lo riconosce e lo stimola ad ammettere di essere un suo discepolo: anche tu eri uno di loro! Partecipare all’Eucaristia e ricevere il corpo di Gesù, crea una comunione indistruttibile con Lui, anche se non ne siamo troppo degni, anche se noi ci allontaniamo da Lui. Siamo uno di loro, per sempre. dtiziano

 

Sub Tutela Dei

Questa settimana, dal 6 al 9 giugno, nella Casa Circondariale di Monza, sarà possibile visitare la mostra allestita per ricordare il magistrato Rosario Livatino, ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990. Il titolo di questa mostra si ispira a un motto che ha accompagnato la vita del giudice Livatino: Sub Tutela Dei. Vuol dire: “Sotto la protezione di Dio”, e di nient’altro, liberi da ogni potere malvagio, dalla mafia e di ogni tipo di condizionamento.

Il giudice Rosario Livatino è stato proclamato beato tre anni fa, il 9 maggio del 2021: la chiesa lo considera un martire, un uomo ucciso in odio alla fede. La vita e la morte segnate dal suo essere cristiano. Alla fine non ti chiederanno quanto sei stato credente, ma quanto sei stato credibile, così scrisse il giudice, e lui è stato credente e credibile. Lo hanno definito “il giudice ragazzino” per la giovane età. Non mi è mai piaciuta tanto questa definizione. Aveva trentotto anni, l’età di un uomo maturo, non di un ragazzino che deve crescere e non ha ancora ben capito come gira il mondo. La vicenda di quest’uomo merita di essere conosciuta. E’ una grande lezione di umanità e di vangelo vissuto, è una di quelle figure che infondono speranza e ci fanno capire che è possibile essere migliori, che c’è un modo di vivere che non si adegua (per comodità, paura, tornaconto o interesse) a scelte e comportamenti di egoismo e di illegalità. - Il Giudice Livatino è stato coerente Nel primo giorno da magistrato scrisse sul diario: Da oggi sono magistrato. Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l’educazione, che i miei genitori mi hanno impartito, esige. Rimase fedele agli ideali, alle intenzioni che lo avevano spinto a scegliere quella professione. Fedele anche quando capì che stava correndo gravi rischi. Non ha rinunciato al sogno, a ciò che più gli stava a cuore e che dava senso alla sua vita. Era un cristiano che sapeva applicare fedelmente, e in modo fermo, la legge, in coerenza però con la fede cristiana. Una testimone nel processo di beatificazione ha dichiarato: in Livatino non vi era confine tra professione e il suo essere uomo di fede. Il suo essere cristiano traspariva dal suo essere magistrato.

Il giudice Livatino è stato coraggioso. 

Ce ne vuole di coraggio ad affrontare la mafia senza alcuna condiscendenza, sapendo a cosa si va incontro. Aveva rifiutato la scorta, viaggiava da solo, in auto, perché, diceva, Non voglio lasciare vedove e orfani. Preoccupato dell’incolumità degli altri, non voleva che corressero i rischi che, invece, lui accettava. – Il giudice Livatino era consapevole dei limiti. Una sua affermazione lucida, puntuale, umile: Il peccato è ombra e per giudicare occorre la luce e nessun uomo è luce assoluta. Percepiva con chiarezza la responsabilità di giudicare un uomo. Non si gioca con la vita delle persone. Un giudizio affrettato, distratto, senza aver studiato il caso, o peggio ancora, condizionato da qualche interesse o per convenienza politica, può rovinare una persona o, al contrario, sottrarla a un giusto giudizio di condanna. Senza dimenticare che anche con il massimo impegno si può sbagliare, perché nessuno possiede la verità, tutti siamo peccatori, e la luce che illumina il giudizio è offuscata dai nostri limiti. Una responsabilità da far tremare le vene e i polsi, ma che può essere affrontata se si rimane sempre alla ricerca della verità, e pur nella ricerca, è ad essa che ci si ispira per il giudizio. Perché il giudizio del magistrato ricade sugli altri, molti dei quali, per vari motivi, già provati dalla vita. 

– Il giudice Livatino era consapevole dei limiti. Una sua affermazione lucida, puntuale, umile: Il peccato è ombra e per giudicare occorre la luce e nessun uomo è luce assoluta. Percepiva con chiarezza la responsabilità di giudicare un uomo. Non si gioca con la vita delle persone. Un giudizio affrettato, distratto, senza aver studiato il caso, o peggio ancora, condizionato da qualche interesse o per convenienza politica, può rovinare una persona o, al contrario, sottrarla a un giusto giudizio di condanna. Senza dimenticare che anche con il massimo impegno si può sbagliare, perché nessuno possiede la verità, tutti siamo peccatori, e la luce che illumina il giudizio è offuscata dai nostri limiti. Una responsabilità da far tremare le vene e i polsi, ma che può essere affrontata se si rimane sempre alla ricerca della verità, e pur nella ricerca, è ad essa che ci si ispira per il giudizio. Perché il giudizio del magistrato ricade sugli altri, molti dei quali, per vari motivi, già provati dalla vita.

Il giudizio del giudice Livatino. Leggiamo con attenzione queste sue parole: Il compito del magistrato è quello di decidere. Orbene, decidere è scegliere e, a volte, tra numerose cose o strade o soluzioni. E scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Consapevole dunque che inevitabilmente ci metteva qualcosa di suo, quando doveva giudicare. E aggiungeva: è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto per il tramite dell’amore verso la persona giudicata. Parole di straordinaria profondità, sono come una preghiera, quasi un agire, umilmente però, in nome di Dio, nel rispetto verso la persona giudicata e addirittura amandola. Solo così si possono dire queste altre parole: I non cristiani credono nel primato assoluto della giustizia come fatto assorbente di tutta la problematica della normativa dei rapporti interpersonali, mentre i cristiani possono accettare questo postulato a condizione che si accolga il principio del superamento della giustizia attraverso la carità. La giustizia umana non è perfetta, anche se necessaria. Occorre andare oltre, applicare la giustizia con clemenza, con misericordia, il più possibile con lo sguardo e la carità di Dio. Una giustizia che non dovrebbe avere solo l’aspetto punitivo ma soprattutto il ricupero di chi ha sbagliato, aiutandolo a capire l’errore commesso ma anche dotandolo degli strumenti per ricominciare. – Il giudice Livatino è beato. Lo è perché, come ci insegna San Tommaso, muore per Cristo chi è ucciso a causa di un’opera compiuta per amore suo. Possiamo dunque guardare a lui con grande ammirazione lasciando però che la sua vita ci interpelli, ci scuota. Le scelte che lui ha fatto possono essere le nostre scelte, anche se la nostra vita è diversa dalla sua e i nostri rischi non sono neanche paragonabili ai suoi. dt.


 

 

Pillole di conoscenza. .

La rivoluzione (incompiuta) della riforma Cartabia. Novità a Milano.

Con l’entrata in vigore della riforma Cartabia, sono applicabili dal giudice le nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi. La novità introdotta è notevole e impone un cambio di cultura, di mentalità e di approccio da parte degli operatori della giustizia: magistrati, avvocati, personale amministrativo, UEPE e FFOO. Serve una risposta corrispondente alla funzione rieducativa della pena, più efficace e immediatamente esecutiva, con vantaggi per l’appello e la sorveglianza, ma anche per il sovraffollamento carcerario per un sistema che attualmente è del tutto carcerocentrico. Con la Corte di Appello di Milano, il Tribunale di sorveglianza, insieme al Tribunale ordinario, Ordine degli Avvocati, Camera penale e UEPE, ha redatto e approvato uno schema operativo per agevolare l’interpretazione e l’applicazione della Iegge. Utile ai difensori di fiducia (o d’ufficio) per richiedere l’applicazione di una o più pene sostitutive già in sede di conclusioni, indicando quella prescelta, in caso di pena pecuniaria sostitutiva, di lavoro di pubblica utilità sostitutivo, oppure di detenzione domiciliare sostitutiva, così come pure in caso di semilibertà sostitutiva. en.

Ri(flessioni) 1. Iran, un premio Nobel a processo Ancora accuse contro Narges Mohammadi, Nobel per la pace 2023. In un messaggio audio denunciava “una guerra su vasta scala contro le donne “ nella repubblica islamica. Narges è già condannata a 12 anni e 154 frustate per: rifiuto di indossare il velo, proteste per la mancanza di libertà, partecipazione a commemorazioni di vittime del regime. Niente cure mediche e da anni non vede marito e figli. L’odio contro le donne, la loro libertà di vestire e di vivere senza la tutela giuridica di un maschio, è il centro della concezione della vita del regime iraniano. E le giovani donne, - assassinate, incarcerate, torturate - sono la forza dell’opposizione al governo. Trascinando anche i maschi. gd.

2. Matteotti e gli altri. Pari e patta.

Nel 100° anniversario dell’assassinio di Giacomo Matteotti, la Camera dei Deputati con la premier Meloni ha giustamente tributato un solenne omaggio al deputato vittima di squadristi fascisti nel 1924. Il ministro della cultura Sangiuliano vuole fare una sorta di “pari e patta”, tornando su un suo cavallo di battaglia: "Ancora aspetto che la segretaria del Pd dica qualcosa sulla violenza comunista in Italia. Quella del biennio rosso, le foibe e quello che avvenne in Emilia Romagna alla fine della guerra. Così come Ungheria 1956 e Cecoslovacchia 1968". Perché non limitarsi ognuno a riconoscere gli errori della propria area politico-ideologica e non chiedere sempre di pareggiare i conti? en.

3. Da medico a malata. La dottoressa Maria Frigerio, cardiologa dell’ospedale Niguarda, ora in pensione e malata di Parkinson, dopo aver detto che non è così strano ammalarsi, e con l’esperienza accumulata in tanti anni, ci ricorda che nel rapporto medico-malato decisivo è l’ascolto dei pazienti. Come sempre: prima ci sta l’uomo con la sua umanità, un uomo da accogliere, capire rispettare e sostenere. dt.

 

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