DENTRO E FUORI a cura di don Tiziano Vimercati Settimanale di varia umanità carceraria C.C. di Monza Numero 7 – 23 giugno 2024 XII domenica Tempo Ordinario



Perché avete paura? Non avete ancora fede?

Vangelo di oggi: Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciarono nella barca, tanto che ormai era piena. Gesù se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?” La paura ci accompagna spesso nella vita. Ogni tipo di paura. Paure inevitabili quando percepiamo un grande pericolo e ci sembra che nessuno e niente ci possano aiutare. Paure che si trasformano in ansia quando ci troviamo a dover fare scelte importanti, che ci cambieranno la vita, e non sappiamo proprio che pesci pigliare. La paura di perdere una persona cara, la compagna o il compagno di una vita, il papà, la mamma, un figlio, un amico che è stato al nostro fianco fin dall’infanzia. La paura di perdere il posto di lavoro e di non riuscire più a mantenere la famiglia. La paura di non riuscire a cambiare vita, anche se lo desideriamo con tutte le nostre forze, e lasciare il passato, e tutti gli errori commessi, alle nostre spalle. Paure indefinite, forse le peggiori, a cui non sappiamo neanche dare un nome, eppure ci attanagliano, ci tolgono il respiro, ci isolano dagli altri, rubandoci la gioia di vivere. Sarebbe troppo facile adesso, dire: ma non avere paura, vedrai che in un modo o nell’altro te la caverai (ma sappiamo che può non essere così). O il cristiano che aggiunge: c’è il Signore con te, non ti abbandona, ti sarà sempre vicino, ecc. Sperimentare la libertà dalla paura passa certamente attraverso la fiducia che poniamo in Gesù, ma perché cerchiamo Lui, desideriamo conoscerlo, perché più volte ci capita di chiederci, come hanno fatto gli apostoli: “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”. Si tratta di abbandonarci in Lui, di fidarci fino in fondo, senza preoccuparci troppo di cosa “ci guadagniamo”. Lo cerco e lo seguo perché ci tengo a Lui, perché voglio vivere come Lui, perché accetto quanto il Signore Gesù mi chiederà nel corso della vita. Un po’ come quando ci si lega in un vero rapporto di amore: la persona amata è fonte di gioia; si accolgono con gratitudine i momenti belli, si accettano le difficoltà e le fatiche, ma sempre in un legame che non viene meno e che, anzi, si rafforza di giorno in giorno. Cercate prima il Regno di Dio e il resto vi sarà dato in più. dtiziano

Anno Santo 2025 - Un anno di speranza: no alla pena di morte

L’anno prossimo in tutto il mondo cristiano si celebra l’Anno Santo, o Anno Giubilare. Un’occasione per ritrovare speranza, per perdonare e essere perdonati. Non è solo l’anno delle celebrazioni più o meno solenni. E’ l’anno in cui poter ricominciare, guardare al futuro con fiducia, anche se sentiamo il peso degli errori del passato, nostri e degli altri uomini. Il Papa indica i segni che dovranno accompagnare la celebrazione dell’Anno santo: la pace, la trasmissione della vita, i detenuti, no alla pena di morte. Dopo aver ricordato quanto il Papa ha scritto circa i detenuti, il desiderio di pace che ogni uomo porta nel cuore e la gioia della trasmissione della vita, riflettiamo oggi sulle parole a proposito della pena di morte. Così scrive il Papa: In ogni angolo della terra, i credenti, specialmente i Pastori, si facciano interpreti di tali istanze, formando una voce sola che chieda con coraggio condizioni dignitose per chi è recluso, rispetto dei diritti umani e soprattutto l’abolizione della pena di morte, provvedimento contrario alla fede cristiana e che annienta ogni speranza di perdono e di rinnovamento.

Purtroppo sono ancora tante, almeno una cinquantina, le nazioni che ancora applicano la pena di morte: Afghanistan, Antigua e Barbuda, Arabia Saudita, Bahamas, Bahrein, Bangladesh, Barbados, Belize, Bielorussia, Botswana, Cina, Comore, Corea del Nord, Cuba, Dominica, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Gambia, Giamaica, Giappone, Giordania, Guyana, India, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait, Lesotho, Libano, Libia, Malesia, Myanmar, Nigeria, Oman, Pakistan, Palestina (Stato di), Qatar, Repubblica Democratica del Congo, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Singapore, Siria, Somalia, Stati Uniti d’America, Sudan, Sudan del Sud, Taiwan, Thailandia, Trinidad e Tobago, Uganda, Vietnam, Yemen, Zimbabwe. Amnesty International ha registrato 1.153 esecuzioni nel 2023, un aumento rispetto alle 883 del 2022. Si tratta del numero più alto registrato da Amnesty dal 2015, quando si erano raggiunte 1.634 esecuzioni. I dati totali non includono le migliaia di persone che si ritiene siano state messe a morte in Cina, che nel 2023 è rimasta il principale esecutore nel mondo. La pena di morte è una punizione crudele, disumana e degradante che ormai la maggior parte degli Stati del mondo ha consegnato alla storia.

In Iran il boia è sempre più al lavoro In Iran aumenta il numero delle persone che ogni anni sono condannate a morte. Anche come risposta alle manifestazioni di protesta nei confronti del regime che non rispetta i desideri e i diritti del popolo. Nel corso del 2023 sono state 834 le persone impiccate, di cui almeno 22 erano donne. Il ricorso alla pena di morte come strumento per mantenere il potere, attraverso la paura e l’intimidazione. Questo fa dell’Iran è il Paese dove si uccide di più (a parte la Cina dove non ci sono dati ufficiali circa le esecuzioni avvenute). dt

Maratona carceraria Il 3 luglio a Monza in piazza San Paolo per tre ore magistrati, avvocati, volontari, ex detenuti daranno vita a una maratona oratoria sulle condizioni in cui si vive in carcere. Un’iniziativa che, in giorni diversi, si sta tenendo in tutta Italia. Obbiettivo: sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni nelle quali vivono più di 60.000 persone in Italia. Celle minuscole, vitto pessimo, suicidi, scarsa assistenza medica, nessuna dignità, questa è la realtà delle nostre carceri. I detenuti sono cittadini come noi, hanno gli stessi diritti. Devono espiare la loro pena ma in modo umano. Non possiamo ignorarli. gd.

Rispettare la natura.

Quando si parla di Francesco d’Assisi, il pensiero corre al Cantico delle Creature o di Frate sole, composto nel biennio conclusivo della sua vita (1225- 1226). Lo abbiamo studiato come primo documento della letteratura volgare italiana. Riassunto in poche parole, il Cantico insegna ad andare a Dio tramite le sue creature. Dice cioè di un amore per la realtà, per il mondo, per il suo essere portatore di tracce divine. Dalle creature al Creatore; Francesco non si ferma alle cose che vede: il Cantico delle creature in realtà è un Cantico al Creatore. Si delinea così la visione del mondo come una grande famiglia dove ogni realtà, ogni singola presenza è un dono donato, cioè scambiato. Dalla dimensione profetica di Francesco si colgono i presupposti per riannodare un corretto rapporto con il creato, che è casa comune, patrimonio di tutti, delle generazioni passate come di quelle future. È l’idea più usata da papa Francesco nella sua enciclica Laudato si’. E il francescano San Bonaventura chiosa: "Il primo libro ispirato da dio creatore è il mondo naturale, la natura, con la sua bellezza e perfezione", equilibrio per un futuro sostenibile. En

Pillole di conoscenza. Il principio della normalità.

Il carcere norvegese rappresenta l’unico sistema detentivo che, al momento, risulta essere realmente rispettoso dei diritti umani e concretamente teso alla rieducazione e al reinserimento sociale del reo. Tale sistema penitenziario, che ha portato a una riduzione della recidiva fino al 20%, si basa su alcuni principi chiave. Il concetto centrale è quello della normalità, che racchiude in sé tre idee: - la punizione consiste nella sola restrizione della libertà: nessun altro diritto deve essere compresso, perciò il condannato mantiene, per il resto, gli stessi diritti di qualsiasi altro cittadino; - nessuno dovrà scontare la propria pena sotto circostanze più restrittive di quanto sia necessario a garantire la sicurezza nella comunità, quindi andranno privilegiati regimi di sicurezza più bassi possibili; - durante l’esecuzione della sentenza, la vita dentro le carceri deve assomigliare il più possibile a quella esterna, secondo il principio che “se vuoi portare la persona fuori dalla prigione devi portare la prigione fuori la persona”. L’idea di fondo è che c’è bisogno sempre di un motivo per negare i diritti a un condannato, non per garantirglieli. en.

Ri(flessioni)  

1. Nozze coi fichi secchi.

È chiaro che pretendere che il carcere possa effettivamente costituire quella fucina di nuovi cittadini rispettosi della legalità voluta dalla Costituzione, senza irrobustire il percorso trattamentale dei detenuti delle necessarie professionalità, soprattutto dell’area educativa, resta un auspicio illusorio, come voler fare il pranzo di nozze coi fichi secchi. Bisogna prendere coscienza della necessità di implementare e valorizzare il ruolo degli educatori e dei servizi di supporto psicologico all’interno degli istituti. Proprio quello che viene disatteso dal legislatore. en

 2. Belle persone. Milano, le rubano la borsetta, chiama la famiglia, che abita lì vicino, arrivano marito e figlio, due marcantoni di due metri, bloccano il ladro, si riprendono la refurtiva. E si impietosiscono: il ladro dice di essere appena uscito dal carcere e di essere in periodo di prova: se rientra è finito. Allora il figlio dice. “La prigione non è servita a evitare recidive. Forse la messa in prova potrà essere più efficace. Le carceri restituiscono impietosamente quello che investiamo, cioè poco”. Una lezione a tutti, compreso lo Stato. Che poco o nulla investe contro la recidiva e per la rieducazione. gd.

 3. Carcere: ancora suicidi Negli scorsi giorni, in poche ore, si è avuta notizia di ben 4 suicidi di persone detenute, portando a 44 il numero dall’inizio dell’anno. Non c'è una soluzione magica, ma forse manca coerenza di attenzione e azione: affettività in carcere, umanità, velocizzazione e digitalizzazione dei processi burocratici, primi fra tutti i percorsi di formazione e reinserimento lavorativo e sociale, potrebbero essere una risposta efficace e non retorica, come invece accade.

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