Settimanale di varia umanità carceraria - Numero 4 – 26 maggio 2024 a cura di Don Tiziano il cappellano della Casa Circondariale Sanquirico di Monza

 

     Uomini in ricerca 

 

 

Accostarci a Dio richiede un immenso rispetto. Dovremmo avvicinarci alla realtà divina, che è molto più grande di noi, con la consapevolezza di non riuscire a capire fino in fondo, e soprattutto senza la pretesa di poter poi disporre di Dio, di avere quasi il diritto di parlare in suo nome. Perché in questo caso combineremmo solo dei guai. Troppo spesso ci si è serviti di Dio per giustificare le guerre, troppo spesso Dio è stato considerato dalla nostra parte, come se Dio non fosse il Padre di tutti. In punta di piedi ci dobbiamo accostare a Lui, rimanendo sempre in ricerca, pronti a metterci sempre in discussione, consapevoli dell’impossibilità di possedere, in qualsiasi modo, la realtà di Dio. Mi sono ritrovato in un articoletto, pubblicato martedì dal quotidiano Avvenire, dove si riporta un paragrafo di uno scrittore norvegese, Jon Fosse: uno dei personaggi, un certo Vidme, attraversa un momento di crisi religiosa, il dubbio, la fatica di credere in Dio. “E Vidme ha difficoltà a capire come uno possa essere tanto sicuro del fatto suo, come lo sono i preti della Chiesa norvegese, perché credere significa proprio non essere sicuri, significa essere insicuri, significa stare in uno stato di stupore, dove uno vede aperture verso una luce, dove uno vede qualcosa che non capisce. E uno stupore, e una luce, che non si capiscono. E lì si trova Vidme. E lì Vidme non ci vuole stare”. Queste parole ci possono aiutare a celebrare la festa di oggi, la Santissima Trinità, che per noi cristiani indica la realtà del nostro Dio. E’ un’occasione per riflettere sul desiderio di Dio che ogni uomo sembra portare nel cuore. Un desiderio che se vissuto con umiltà porta alla situazione un po’ scomoda di rimanere sempre in ricerca ma anche di abbandonare le false immagini che di dio ci costruiamo, quel volto di dio capace solo di allontanare ancora di più chi è lontano, ma anche chi è vicino. Quel dio, prodotto dall’uomo, che però riflette solo le nostre angosce e allo stesso tempo i nostri desideri. Un dio troppo ingombrante, perché in fondo al nostro cuore percepiamo che qualcosa non va, che c’è qualcosa di stonato. A noi la scelta: rimanere ancorati nella più o meno giusta idea di Dio che ci siamo fatti finora; rifiutare qualsiasi idea di Dio; essere del tutto indifferenti; scegliere di continuare la ricerca, che può essere anche faticosa, ma che ci dona tanto stupore, dtiziano

Anno Santo 2025 Un anno di speranza per il futuro

L’anno prossimo in tutto il mondo cristiano si celebra l’Anno Santo, o Anno Giubilare. Un’occasione per ritrovare speranza, per perdonare e essere perdonati. Non è solo l’anno delle celebrazioni più o meno solenni. E’ l’anno in cui poter ricominciare, guardare al futuro con fiducia, anche se sentiamo il peso degli errori del passato, nostri e degli altri uomini. Il Papa indica i segni che dovranno accompagnare la celebrazione dell’Anno santo: la pace, la trasmissione della vita, i detenuti, no alla pena di morte. Dopo aver ricordato, la scorsa settimana, quanto il Papa ha scritto parlando dei detenuti, riflettiamo oggi sulle parole a proposito della pace e sull’invito a pregare perché il Signore tocchi i cuori di tutti per incamminarci, finalmente, sulla strada della pace. Il primo segno di speranza si traduca in pace per il mondo, che ancora una volta si trova immerso nella tragedia della guerra. Immemore dei drammi del passato, l’umanità è sottoposta a una nuova e difficile prova che vede tante popolazioni oppresse dalla brutalità della violenza. Cosa manca ancora a questi popoli che già non abbiano subito? Com’è possibile che il loro grido disperato di aiuto non spinga i responsabili delle Nazioni a voler porre fine ai troppi conflitti regionali, consapevoli delle conseguenze che ne possono derivare a livello mondiale? È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte? Il Giubileo ricordi che quanti si fanno «operatori di pace saranno chiamati figli di Dio» (Matteo 5,9). L’esigenza della pace interpella tutti e impone di perseguire progetti concreti. Non venga a mancare l’impegno della diplomazia per costruire con coraggio e creatività spazi di trattativa finalizzati a una pace duratura. E’ ora di non rassegnarci più alla logica della guerra, a non considerarla inevitabile, se non addirittura un’opportunità per realizzare vantaggiosi affari. Si diceva: Se vuoi la pace prepara la guerra. Ma così non la si raggiungerà mai. La guerra porta solo guerra, morte e distruzione. Se vuoi la pace prepara la pace: questa è l’unica scelta, se davvero vogliamo uscire dagli orrori delle guerre. L’impegno costante e convinto, l’impegno quotidiano per il dialogo, il confronto, l’accettazione dell’altro, il rispetto di ogni uomo, donna o bambino. Anche nella nostra vita di tutti i giorni.

     Io sono innocente


“Io sono innocente” è il titolo del libro scritto a quattro mani da Beniamino Zuncheddu, insieme al suo avvocato Mario Trogu: storia di un uomo incarcerato ingiustamente per 33 anni e dell’avvocato che ha lottato per la sua libertà. Nel processo di revisione ha visto il riconoscimento dell’assoluzione per non aver commesso il fatto. Beniamino era stato condannato all’ergastolo in fretta e furia. Si cercava un colpevole, non il colpevole. Beniamino con l’avvocato Trogu ha affrontato due battaglie giudiziarie, da una parte il processo di revisione, dall’altra il procedimento per ottenere la liberazione condizionale (arrivata solo il mese prima dell’assoluzione). Questo libro – che sarebbe bello avere nella biblioteca del carcere - vuole dare un contributo alla discussione sulla giustizia in Italia. Quello di Beniamino Zuncheddu è il più grave errore giudiziario che si sia consumato in Italia, causato da un labirinto di bugie, false testimonianze, ritrattazioni. Sono molto toccanti e persino un po’ ironiche le parole con cui l’ex pastore sardo ricorda nel libro l’arresto e l’interrogatorio. Lo portarono in questura, lo fecero sedere su una sedia in un garage dove c’era solo un tavolino. «La spalliera della sedia - scrive Beniamino nel libro - era appoggiata a un termosifone. Hanno preso un paio di manette, me ne hanno messa una al polso destro e l’altra l’hanno attaccata al tubo del termosifone, in alto. Così il braccio rimaneva alto sulla testa, come se stessi salutando. E, infatti, stavo salutando la libertà per trentadue anni. Erano solo accertamenti, dicevano. Si vede che li hanno fatti per bene, perché sono durati 33 anni e mezzo». Dall’inizio alla fine, scrive, mi sono fatto una sola domanda. Perché? E se lo chiede ancor oggi che è tornato ad essere un uomo libero e attende dallo Stato il risarcimento dovuto a un uomo che non ha potuto farsi una famiglia, avere un lavoro e una pensione. Un uomo che nei duri anni dietro le sbarre ha sempre dimostrato una grande dignità. Chi sta dietro le sbarre e chi sta invece fuori si dovrebbe ricordare di questa dignità, che è propria di ogni persona umana, e che va preservata in tutti i modi, perché ci sia sempre la possibilità di avere un lavoro, conservarsi gli affetti dei propri cari e, per quelli una volta usciti, non rientrare più. en.

 

    Pillole di conoscenza.



La riforma della giustizia penale introdotta dalla cosiddetta "legge Cartabia", dal nome dell'ex Ministro della Giustizia Marta Cartabia, ha apportato diverse novità significative anche per il sistema carcerario italiano: maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione, come l'affidamento in prova ai servizi sociali, la detenzione domiciliare e il lavoro di pubblica utilità. L'obiettivo è ridurre il sovraffollamento carcerario e favorire il reinserimento sociale dei detenuti. Tutela dei diritti dei detenuti, incluse norme più rigorose contro i maltrattamenti e una maggiore attenzione alle condizioni di vita all'interno degli istituti penitenziari. Interventi per velocizzare i procedimenti penali. Digitalizzazione e Innovazione Tecnologica per la gestione e la sorveglianza. Viene rafforzato il sostegno psicologico e sociale per i detenuti. Queste misure, in linea con le raccomandazioni europee e internazionali per il trattamento dei detenuti, devono essere attuate. Ai responsabili penitenziari, i magistrati e agli avvocati il compito di trasformarle in applicazione concreta

 Ri(flessioni)

2. L’ingegno, nelle difficoltà Fino al 15 giugno presso Viale dei Mille, angolo piazzale Dateo, è aperta la mostra Oggetti d’evasione. Racconta la vita dietro le sbarre attraverso una collezione di oggetti creati dai detenuti, usati per facilitarsi la vita: il forno con le bombolette e la carta stagnola, il posacenere da branda ricavato da una confezione di detersivo, una scatola di tonno che diventa una grattugia. Gli oggetti vengono dal carcere di Bollate, ma si trovano in tutte le carceri. Una mostra curiosa che testimonia l’ingegno e la fantasia dei detenuti per sopperire alla mancanza di oggetti che sono normali nella vita di fuori ma negati nella detenzione.

3. La dignità dell’uomo. La dignità dell'uomo sta nella sua capacità di scegliere e di agire secondo coscienza, sempre, senza piegarsi né al potere né alla paura. La dignità di essere umano appartiene a ogni persona e a ciascuno deve essere riconosciuta e rispettata. Se si partisse sempre da questo presupposto, guerre totali come quella in Ucraina o striscianti come in Palestina, non ci sarebbero perché la guerra è un'offesa contro la dignità della persona umana.

4. La speranza che tiene in vita e ci migliora La speranza è ciò che ci tiene legati ai nostri sogni, anche quando tutto sembra perduto. Quando si è in carcere, c'è la speranza di essere assolti, di uscire, di mantenere i propri affetti, di non perdere tutto, di sopravvivere. E' una speranza che, nella sofferenza della mancanza di libertà, qualche volta ci fa incontrare anche la fede. E insieme, speranza e fede, portano con sé tanta carità che è un'altra caratteristica della vita in prigione: aiutarsi gli uni gli altri, dare a chi non ha, gesti di carità e generosità che l'imbarbarimento della vita da reclusi non può cancellare ma esalta. en.



1. Al ristorante “In Galera” Una buona notizia dal carcere di Bollate, dove è in funzione un rinomato ristorante: una signora, dopo aver cenato, si accorge di aver perso il portafoglio. Niente paura: un cameriere-detenuto, lo trova e lo restituisce. Al ristorante “In Galera” non si rubano i portafogli!

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